Secondo la letteratura mediatica prevalente, siamo un Paese, una nazione, una comunità, un popolo decadente. Mai stati peggio di così e di oggi. Cori di geremiadi intonano: il passato, sì che era bello. Ma i più stagionati tra di noi ricordano che simili argomentazioni / lagne / refrain han sempre tenuto banco. E prevalso, nel segno (trionfo) del difetto che ombreggia la virtù. Per esempio: adesso si dice ogni turpitudine della classe politica, ah com’era d’altro e alto livello quella dei decenni passati. Ma nei decenni passati si diceva lo stesso dei protagonisti d’epoche precedenti. Andreotti, il rimpianto Andreotti, durante i suoi fasti veniva raffigurato in guisa di Belzebù. Idem, nella sostanza pur se in maschera diversa, il meno rimpianto De Mita. E non parliamo del più o meno rimpianto Craxi, vignettato con stivaloni mussoliniani. Tutti coloro cui toccava di governare erano fustigati, se andava bene, dalla critica urticante; e se andava male, dallo sprezzo diffuso. Retrocedendo nel tempo, qualcuno rammenta come fu irriso/lapidato il presidente della Repubblica Giovanni Leone? L’elenco sarebbe lungo, e ce lo risparmiamo. Ma il sussulto di memoria serve ad affermare che l’odierno disfattismo non trova pezze giustificative assolute. Relative sì, e però qual è la contingenza storica esente da problemi, disagi, insipienze, ingiustizie, corruttele e via ecceterando? Non esiste.
Dunque l’esercizio dell’obiezione, dell’addebito, del biasimo, infine della denunzia è legittimo, importante, opportuno. Compiutolo, bisogna tuttavia farvene seguire uno successivo, se si hanno davvero a cuore le buone sorti del Paese e non invece la malasorte di qualcuno: l’atto di fiducia nel futuro e di quanti ne saranno i protagonisti. Cioè le nuove generazioni, i giovani, i figli e i nipoti, meritevoli d’attenzione, riguardo e incoraggiamento più dei padri e dei nonni. Chi è avanti con gli anni dovrebbe capire che il tic di voltarsi indietro (e basta) non aiuta a tener dritta la barra verso il progresso. E chi non lo è, ha zero motivi per comportarsi in questo modo.
Insomma, servirebbe/serve un po’ meno d’autoflagellazione e un po’ più d’autostima. Precisamente: saper prendere la vita con impeto di morigerata speranza, spirito di consigliabile audacia, saggia temerarietà d’intrapresa (non sono paradossi stravaganti). Resiste la bontà del concetto scespiriano nell’Amleto: ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognino nella tua filosofia. Orizzonti ampi: basta saperli vedere e non essere choosy (schizzinosi, rammentò la Fornero).
A proposito di filosofia. Nell’ufficio comunale di Besnate sta per aprire lo Sportello del filosofo. A una professoressa è venuta l’idea di discorrere, con i cittadini che lo vogliano, di pensatori/pensieri recenti e lontani – Aristotele Kant Spinoza Schopenauer Marx e un’infinita squadra in campo – nella certezza dell’intramontabilità d’alcuni temi. Della convenienza a declinarli nel presente. Del vantaggio non solo culturale, bensì sociale e politico, d’un tale svolgersi di dialoghi.
Il sindaco ha accettato con entusiasmo. Giudica di felice modernità il proposito di sapore antico. Perché qui, d’antico, c’è nulla. Di universale, tutto. Ecco cosa ci manca: cogliere l’universale che sta in noi e tramandarlo perpetuandolo. Credere alla prevalenza di un’armonia di fondo sugli sfascismi imperanti. Se no, abyssus abyssum invocat, come non dichiarerebbe (e dovrebbe invece dichiarare) il senatore Razzi.
Uno sprofondo che non giova a Besnate, e ai suoi sterminati dintorni. Particolarmente a Roma, dove grilli parlanti trovano complice eco in grilli scriventi. Morale: è più urgente spegnere una certa tracotanza che certi incendi. Parole attinte da Eraclito d’Efeso. Un pre-socratico di 2500 anni fa, non un post-renziano della contemporaneità. Potenziale/ottimo assessore, deputato, ministro; anche autorevole/brillante gazzettiere, columnist, stella da talk show. Torniamo a Eraclito. Torniamo a Efeso.
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