Nella mia qualità di giornalista obiettivo e imparziale solo occasionalmente (e, nell’anno in corso, con una certa triste ma meravigliosa perseveranza) solito a indossare esclusivamente indumenti di colore azzurro bordati di nero, mi sono ritrovato a impegnarmi in una dolorosa autopunizione mentre scrivevo un articolo indirettamente elogiativo del bianconero (colori mai presenti nei miei sogni se non sotto forma di incubi) di Torino.
Al termine dello scritto mi accorsi, infatti, di essermi strappato qualche ciuffo di capelli e un paio di unghie della mano destra rea di aver provveduto alla stesura del pezzo (poi pubblicato il 4 dicembre 2011), pur sperando di essere in errore. Scrivevo, dunque, che il Milan di Allegri, per pretendere di ripetere il successo dello scorso anno, bene avrebbe fatto a dare una profonda sbirciata verso Torino dove su un campo da favola si aggiravano torbide sagome grigio-nerastre messe assieme, purtroppo tanto per aggravare la situazione, da un amico, quel Beppe Marotta che – nonostante il cognome non precisamente padano – risulta, calcisticamente, di pretta estrazione varesina.
Si diceva, allora, che al Milan non sarebbe guastato almeno abbozzare anche un gioco di squadra (così come – con grande efficacia – sapeva e sa praticare, sistematicamente, la Juve), non basandosi solo sulle imprese dei singoli (Ibra quando docente) e si diceva anche che i rossoneri avrebbero dovuto anche cercare variazioni di schemi e, comunque, soluzioni diverse rapportandole agli avversari, di volta in volta, affrontati.
Si voleva dire, insomma, che l’inferiorità del Milan rispetto alla Juve non veniva solo dalla differenza in classifica ma anche da certe lacune intrinseche al suo gioco e che se, a queste considerazioni, si aggiungeva la forza caratteriale dei bianconeri decisamente esplosiva e un’eccellente guida dalla panchina ne veniva, purtroppo, un pronostico tristemente orientato…
Situazione che, anche attualmente, rimane tale e quale.
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