«Venite, benedetti, ricevete in eredità il regno preparato per voi, perché ero malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi».
Verso la fine dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium (n.270), papa Francesco accenna alla tentazione di starcene alla larga da tutto e da tutti, soprattutto dai problemi.
Più esattamente afferma: “Le piaghe del Signore, a scanso di equivoci, si identificano con la miseria umana… la carne sofferente degli altri”.
Quando lo facciamo – ogni volta che visitiamo quell’uomo o quella donna perché hanno bisogno – la vita ci si complica meravigliosamente. Sarà anche bello, per un verso; ma c’è pure un aspetto maledettamente impegnativo e responsabilizzante…
Comunque, una cosa è certa: “Alla fine della vita saremo interrogati sull’amore” ce lo ricorda a chiare lettere San Giovanni della Croce, con un’espressione sintetica e felice.
Il passo di Matteo 25, ricordato anche dal Papa a Firenze, ci porta a esaminare la nostra coscienza, su come avremo corrisposto ai doni di Dio, fatti a noi ma destinati a tutti.
Anche una piccola parabola, raccontata ai bambini per responsabilizzarli sul modo di impiegare i doni di Dio, contiene un esplicito riferimento evangelico:
“Quando nasce un bambino, un angioletto mette nelle palme delle sue mani un chicco di frumento. Il bimbo può fare due mosse: o stringere o aprire la sua mano. Se la chiude, lo fa perché nessuno glielo rubi: per non perdere quel semino, lui lo terrà stretto stretto; ma quando, al termine della vita, gli sarà richiesto, come sarà quel chicco? Non servirà più a nulla, perché è stato tenuto troppo stretto.
Se invece quel bimbo aprirà la sua mano e lo lascerà cadere in terra, nei solchi preparati per la semina, quel chicco diventerà una spiga dorata. Che renderà cento altri chicchi”. Così – annota Gesù – “chi ama la propria vita la perderà e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12,25).
Se calcoli, se stringi e tieni per te stesso, resti solo. Resti vuoto, isolato, scartato. Soprattutto, infecondo. Con un gusto amaro in bocca. Perché sei stato autoreferenziale ed egoista, perché l’egoista castiga se stesso, come insegnavano i vecchi di una volta.
Se invece fai della tua vita un dono – ecco il senso delle opere di misericordia, citate anche nel Vangelo – la tua mano profumerà di gioia. Quanto hai saputo donare con larghezza, diventerà pienezza!
In altre parole, il cristiano è uno che non ha paura delle situazioni più complicate. Dice “io”, ma intende dire “noi”. Avanza quando gli altri retrocedono. Muore a se stesso per risorgere nuovo.
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