Mentre uscirà questo numero, papa Francesco avrà già rivolto la sua parola ai capi di Stato e di governo convenuti a Roma per celebrare i sessanta anni dalla firma dei Trattati di Roma. Molte di queste personalità si saranno successivamente unite a cristiani di tutte le confessioni per una veglia ecumenica di preghiera per l’Europa nella basilica dei Santi Dodici Apostoli: solo un ritorno alle dimensioni spirituale, etica e sociale potrà salvare l’Europa.
Il primo compito dell’Europa per poter procedere verso le nuove sfide che l’attanagliano (il terrorismo, il fenomeno migratorio, la crisi economica) è quello di essere se stessa riportando in vita le sue migliori tradizioni, da cui sono derivate la sua cultura e la sua spiritualità. Non vorremmo che la commemorazione romana fosse solo una festosa incoronazione di quanto di buono ha finora prodotto, ma piuttosto l’occasione di un rilancio dell’integrazione basata sulla formazione della coscienza dell’uomo europeo: il valore assoluto della persona, la solidarietà con ogni uomo, la propria identità come mezzo non per prevaricare sugli altri, ma come momento di arricchimento, l’unità non come agglomerato di nazioni-stato, ma come comunità di antiche regioni sorte storicamente.
Papa Francesco ha già parlato all’Europa in tre diverse occasioni: al Parlamento Europeo e al Consiglio d’Europa il 25 novembre 2014 e ricevendo il premio “Carlo Magno” il 6 maggio dell’anno scorso. In molte altre occasioni ha ricordato il valore altamente spirituale dell’integrazione europea, ma ha preferito visitare le “periferie” dell’Europa: l’Albania, Sarajevo, l’Armenia, la Polonia (ma in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù!), la Svezia. Volutamente “il Papa venuto dalla fine del mondo” ha tralasciato le grandi metropoli europee, anche se sollecitato a visitare queste chiesi locali dagli episcopati francese, tedesco e spagnolo.
Per la sua prima visita pastorale nella “grande” Europa ha scelto Milano, dove giungerà il giorno dopo che avrà rivolto il suo messaggio all’Europa e mentre a Roma si svolgeranno le cerimonie giubilari della seconda e terza comunità europea. Non ci sorprenderebbe che anche da Milano papa Francesco parlasse alle grandi metropoli europee: della loro crescita disordinata in periferie anonime, ostili e violente, con le loro conseguenze di delinquenza, criminalità, droga, erotismo, estrema povertà. Visiterà e pranzerà con i carcerati di San Vittore e, solo dopo aver confortato gli ultimi, celebrerà l’Eucarestia – legame visibile che testimonia la comunione con i fratelli e aiuta a costruirla – a Monza (enclave di rito latino in terra ambrosiana!).
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Non ci è dato di sapere perché papa Francesco abbia voluto scegliere Milano come la metropoli d’Europa a cui rivolgere le sue attenzioni pastorali. Senz’altro i motivi sono conosciuti dal nostro Arcivescovo se egli ha voluto dedicare il “discorso alla città”, pronunciato in occasione della festa di Sant’Ambrogio 2016, a “Milano e il futuro dell’Europa”. Milano è incastonata al centro d’Europa; è stata capitale dell’impero romano; il vescovo Ambrogio, nato a Treviri, lungo il Reno, ha messo in contatto la chiesa milanese con le altre chiese d’Europa e d’oriente; la gente ambrosiana, libera, solidale e ingegnosa ha percorso le strade d’Europa per vendere i suoi prodotti tessili respirando così l’aria locale, quella del campanile, e mescolandola con quella cosmopolita che soffiava a Lione o a Colonia o a Amsterdam; sotto la dominazione spagnola o napoleonica o austriaca, Milano ha praticato anche allora la cultura dell’ospitalità senza tuttavia rinunciare alle proprie tradizioni soprattutto religiose; durante la rivoluzione industriale, la capacità d’iniziativa e l’ingegno dei milanesi hanno fatto di Milano il motore pulsante dell’industria e del commercio; durante il periodo del boom economico, succeduto alla seconda guerra mondiale, Milano ha accolto popolazioni provenienti da zone interne depresse e quelle donne e uomini hanno contribuito a fare della città una metropoli in cui i nuovi arrivati e gli autoctoni hanno condiviso culture diverse unendo l’antico e il presente.
Con la nascita della prima comunità europea, Milano ambiva a ospitare una sede delle nuove istituzioni europee e, su sollecitazione delle autorità civili, l’arcivescovo Montini si prodigò presso Adenauer e Schuman perché il desiderio dei milanesi venisse accolto. Oggi Milano è pronta ad accogliere l’agenzia europea del farmaco.
Da allora Milano è molto cambiata: economicamente, culturalmente, socialmente, religiosamente. La competitività dell’apparato industriale milanese è costituita da tanti fattori: i capitali investiti, l’innovazione nella tecnologia incorporata nella produzione, il costo del lavoro. Ma c’è un fattore al quale siamo poco abituati a pensare: il capitale umano. L’automazione, le nuove tecnologie, il trattamento delle informazioni riducono il bisogno di mano d’opera intesa come forza bruta ed accrescono viceversa la necessità di lavoratori qualificati. La presenza a Milano di diverse università può fornire una nuova classe dirigente ben preparata, ma accanto a questa occorre sviluppare una scuola che sia veramente buona, che non istruisca o addestri, ma formi uomini capaci di pensare con la propria testa perché l’uomo non è solo un elemento del processo economico, ma soggetto di diritti che oltrepassano quelli della mera economia.
Papa Francesco inizierà la sua visita pastorale visitando un quartiere della periferia – una “città-mondo” – dove convivono masse di persone che arrivano in cerca di pace e di speranza con altre alle quali la città non è riuscita a dare migliori alloggi. Milano, come tutte le metropoli, è toccata dalle situazioni di precarietà, di esclusione, di rassegnazione, di frustrazioni, di degrado, talvolta di collera che popolano le nostre periferie. Ed è lì, tra coloro che si sentono “scartati” dal sistema, in mezzo ad un’urbanizzazione galoppante, che nascono sentimenti di ingiustizia, ma dove fioriscono anche buone azioni di volontariato e dove con la sua presenza la chiesa promuove la dignità dell’uomo e di tutti gli uomini.
Se nelle periferie nascono sentimenti di ostilità, nel centro e nelle zone residenziali domina uno stolido senso della paura, capitalizzato da coloro che nel terrorismo e nell’emigrazione vedono un dono del cielo, come se la paura fosse un’offerta del mercato creata da ideologie neoliberiste, neoutilitariste che hanno appiattito la solidarietà ambrosiana su dimensioni finanziarie e tecnocratiche.
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Francesco è il papa non europeo che “insegna tutto” all’Europa. “Pur non essendo europeo ha capito l’importanza dell’Europa”, ha detto recentemente Romano Prodi in un’intervista televisiva. Nell’epoca della globalizzazione, in Europa vive il 7% di tutta la popolazione mondiale: come potrebbe la piccola Europa sopravvivere? Lo potrà fare se avrà il coraggio di risolvere tre sfide.
Le nazioni possono e devono continuare a sviluppare la loro identità, la loro ricchezza storica, ma devono altresì prospettare un nuovo patriottismo inclusivo e non più esclusivo, regolando il mercato e la finanza che tendono a distruggere le relazioni di mutua comprensione, di convivialità e di servizio. Ha bisogno, cioè, di pensare in termini politici che affrontino con coraggio i problemi delle società.
Per raggiungere tale fine, l’Europa deve portare a termine il suo processo di unificazione politica, rigenerandosi in una forma di federazione di stati nazionali che le assicurino una comune politica estera, di difesa e di sicurezza contro il terrorismo. L’ “Europa a due velocità” potrà risolvere i problemi legati alla moneta unica: ben venga! La proposta di far eleggere il presidente della Commissione da parte dei cittadini è utopica, se non demente: si rafforzi piuttosto il potere del Parlamento Europeo e si attenuino i poteri al Consiglio Europeo: insomma, sì più democrazia, ma no a proposte che estendono i compromessi, se non le compromissioni.
Con la nascita del processo d’integrazione europea e con la caduta del muro di Berlino, l’Europa ha superato con fatica i due dèmoni che avevano portato alla seconda guerra mondiale: i nazionalismi e la sacralizzazione dei confini. Oggi il rischio è quello di una nuova virulenza di queste due malattie. Mentre nuovi nemici ideologici, autarchici sorgono oltre i confini dell’Europa, il nemico si è spostato: è all’interno degli stati stessi e si chiama nazionalismo.
Francesco ci insegna che dalle periferie si deve partire per convergere al centro e che dall’uno occorre sempre ripartire per andare verso i molti. Il che vuol dire che o ci si salva tutti assieme o si perisce tutti assieme.
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