Facile esercizio quello di attribuire etichette, organizzando il prossimo per categorie, rinchiudendo le persone dentro uno schema predefinito. Un’operazione necessaria per custodire la memoria e rendere più facile l’accesso alle informazioni sedimentate nella mente.
Alcune etichette, però, risultano attribuite troppo frettolosamente. A scuola, per esempio, dove abbiamo a che fare con bambini che non possiedono strumenti di difesa per contestare le categorie degli adulti, spesso rigide e discutibili.
Così abbiamo bambini diligenti, bambini intelligenti, gli intelligenti che però non si impegnano, qualche superdotato, tanti pigri e schiere di distratti, numerosi dislessici, e poi disgrafici e discalculici; un certo numero di disabili suddivisi in gravi, medi o lievi, soggetti autistici, frequenti casi di border line, disadattati in aumento esponenziale.
Su quest’ultima classificazione voglio riflettere, alla luce di una recente esperienza.
Vengo invitata in una scuola a parlare di Resistenza, tema difficile per bambini di classe quinta, che hanno solo dieci anni. Sono stati preparati all’argomento da volenterosi insegnanti che ritengono importante capire la storia del nostro tempo, anche se né la Shoa né la Resistenza trovano spazio nei programmi scolastici.
Costruisco il mio intervento con grande impegno: devo cercare le parole giuste, gli esempi concreti, i documenti più significativi. Devo semplificare molto per rendere accessibili temi così complessi; risulterebbe più semplice organizzare una bella lezione per i ragazzi più grandi.
Cinquanta, tra bambine e bambini, mi aspettano. Sono io a porre domande a loro prima che loro, come avviene quando la conoscenza reciproca si è attivata, chiedano a me. Il mio intervento è interlocutorio. Li coinvolgo precisando con il loro aiuto alcuni termini: partigiani, Resistenza, testimoni diretti e indiretti, documenti e fonti. Mi seguono incuriositi.
Sulla lavagna multimediale mostro la mappa della città, con le vie dedicate ai caduti della Resistenza. Racconto che il primo sindaco della Varese liberata fu nominato il 26 aprile del 1945, che don Luigi Locatelli della Basilica di San Vittore, insieme con il Comandante partigiano Claudio Macchi, trattò la resa dei tedeschi e rese possibile la loro evacuazione senza ulteriori danni.
Si alzano alcune mani, o per chiedere o per rispondere. Evidenzio da subito il gruppetto dei bambini, in prevalenza maschi, che daranno risposte puntuali e porranno riflessioni profonde tanto da stupire me e gli insegnanti. Sono quasi tutti attenti ma non mi sfugge come questo drappello, dai diversi punti dell’aula, porti via la parola ad altri più timidi, con interventi continui ma sempre pertinenti.
Faccio scorrere alcune immagini storiche: Hitler e Mussolini si incontrano e si stringono la mano. Questi sono i dittatori che un vasto movimento di popolo volle destituire. Una bambina trova il coraggio di raccontarci che secondo il suo papà Hitler si sarebbe suicidato nel suo bunker di Berlino perché pentito.
In un’altra immagine i partigiani scesi a valle il 25 aprile esultano: laceri, stanchi, un esercito senza divise e senza la disciplina dei “veri “ soldati. Un bambino alza la mano. “Chi è quel signore dentro la cornice della fotografia, quella in mano al partigiano, lì, sulla destra?”. Guardo meglio: io non l’avevo mai notata, eppure questa slide l’ho mostrata varie volte. Si tratta di Garibaldi, nella più classica della rappresentazioni. È il segno distintivo delle Brigate Garibaldi.
Quando finisce l’incontro, il bambino che l’insegnante ha cercato di tacitare più volte perché lasciasse spazio anche gli altri, passandomi vicino, mi chiede, sottovoce, se posso fargli conoscere l’amica ebrea scampata ai campi di concentramento di cui avevo parlato prima.
Gli insegnanti cui rivolgo i complimenti per la risposta delle due classi mi paiono straniti. Confessano: il gruppetto che ha tenuto banco per tutta la durata dell’incontro era proprio quello da cui non si sarebbero aspettati granché: border line l’uno, con diagnosi di deficit d’attenzione un altro, bambino straniero, con problemi di disciplina, il più partecipativo in assoluto. Il biondino che aveva scoperto nella slide la foto, piccola piccola, di Garibaldi, è affetto da …; anzi, “sarebbe” affetto da ….
Sono delusi dal fatto che solo due, tra i classici scolari bravi e diligenti, fossero intervenuti attivamente.
Porto a casa una lezione di pedagogia con pochi precedenti.
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