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Ci piacerebbe sapere a quanti bambini di Varese e provincia s’illuminerebbero gli occhi sentendo pronunciare il nome di Laura Marazzi: “Si, la conosco, è quella signora del museo là in cima al monte, quella simpatica”. Non sapremmo dire il numero esatto, ma di sicuro sarebbero tanti. Perché di bambini in sedici anni di attività didattica, la conservatrice del museo Baroffio ne ha fatti salire parecchi al Sacro Monte con nonni, fratelli, genitori o con tutta la famiglia al seguito. Decine e decine di ragazzi, spesso intere scolaresche con docenti e dirigenti.
Come c’è riuscita? Semplice, organizzando giochi al museo espressamente pensati per i più piccoli, cacce al tesoro con simpatici premi finali per individuare santi, animali e fiori raffigurati nelle opere custodite al museo, percorsi guidati dalla voce narrante del barone Giuseppe Baroffio, un gioviale personaggio disegnato, ispirato al fondatore del museo, che pagina dopo pagina invita i bambini a osservare, leggere e giocare con l’arte. E all’uscita dal museo centinaia di commenti lasciati dai piccoli su un quaderno dopo aver trascorso una divertente giornata a contatto con l’arte insieme a mamma e papà.
Senza contare le attività per adulti, studenti liceali e universitari, ricercatori, studiosi e quella per i disabili, gli anziani, gli ospiti delle case di riposo e gli immigrati stranieri. Per tutti una proposta, un’idea, un pensiero. E poi le conferenze, i concerti, la presentazione di donazioni, di restauri e ancora le guide e i libri d’arte da lei stessa curati. La conservatrice è sicuramente una delle più grandi esperte dell’arte del Sacro Monte. Al suo attivo undici opere aggiunte all’allestimento iniziale e tante prestate per mostre anche internazionali. Sempre attiva, intelligente e disponibile.
Si dirà che ha poca importanza di fronte alla contabilità del museo, alla legge dell’equilibrio finanziario, alla necessità di risparmiare dove possibile, di coprire i costi. Giusto. Viviamo in tempi di crisi e i conti, che lo si voglia o no, bisogna imparare a farli. Forse però sarebbe bastato integrare gli incassi della biglietteria del museo con quelli (robusti) delle visite alla cripta del santuario, un biglietto unico, come pensava di fare don Pasquale Macchi. Anzi, l’arciprete voleva facilitare l’accesso alla cripta attraverso una porticina che dal museo immette nel corridoio coperto parallelo al santuario.
Possibile? Impossibile? Per saperlo ci vorrebbe lui che non si fermava di fronte a nulla quando aveva un progetto in mente. Sarebbe stata la soluzione più razionale, pensava l’arciprete, un “corridoio didattico” con pannelli e altre reliquie che raccontassero la storia del Sacro Monte, un interessante percorso messo a disposizione dei visitatori paganti. Pazienza, don Pasquale è morto da tanti anni e pace all’anima sua. Fu lui, sedici anni fa, ad assumere la giovane e brillante esperta d’arte chiedendole d’introdurre nel corpus del museo cinquanta opere contemporanee sul tema della Vergine.
Erano il frutto dei contatti stretti negli anni trascorsi in arcivescovato a Milano e poi in Vaticano come segretario di Montini. Macchi credeva nella funzione educativa dell’arte e grazie al suo lascito il museo può offrire oggi una vasta selezione di opere del ‘900 di tema religioso, insieme al repertorio storico del santuario e alla raccolta del barone Baroffio Dall’Aglio. Chi muore giace e chi vive si da pace. Però la sensazione è che di cortesia e rispetto ce ne siano stati pochi nell’affaire delle dimissioni dell’esperta scelta da Macchi.
Dopo di lei, in evidente segno di protesta, si è dimessa l’intera squadra dei volontari VAMI, un gruppo di collaboratori di prim’ordine che la conservatrice ha raccolto negli anni intorno a sé grazie alla considerazione e alla stima di cui gode. E tra i volontari c’è quella Irene Affede Di Paola che ha donato al museo e alla Fondazione Paolo VI la Madonna in trono con il Bambino di Angelo Biancini, uno degli esponenti più interessanti della scultura del ‘900, una ceramica maiolicata del 1980 in cui si coglie l’influenza dell’iconografia bizantina e che ricorda i mosaici di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna.
Al di là del fedele, colto, competente ed entusiasta lavoro svolto per tre lustri al museo del monte, la città deve dunque alla Marazzi anche l’arricchimento artistico ed economico del patrimonio che vi è conservato. Anche questo va messo nel conto. Era il caso di ricordarsene prima che la disillusione, la stanchezza, la sensazione d’isolamento inducessero la direttrice a fare i bagagli? Per andare dove poi? Non risulta che abbia un altro lavoro, se non part-time alla Pinacoteca di Brera.
In tempi in cui trovare un impiego è una scommessa, fa impressione pensare che personaggi di questo valore siano gentilmente accompagnati alla porta. Consoliamoci pensando che presto matureranno i semi che la conservatrice ha piantato in questi anni in decine e decine di bambini. Scolari di tutte le età che, da grandi, ameranno l’arte e ricordando le antiche visite al museo del Monte e quella brava e simpatica direttrice, ritorneranno a visitarlo con i lori figli. Pagando, naturalmente.
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