(C) Rimozione forzata dell’identità: questo strana affermazione mi è stata suggerita pari pari da un volantino assai modesto e di contenuto strampalato,visto per caso, malamente incollato su un muro di Varese. Il contenuto alludeva ad una catena di stranezze, di misteri, di guai, di catastrofi naturali e di deviazioni culturali e sociali: sarebbero l’esito della presenza tra noi e dell’azione di alieni. Mi è subito venuto un pensiero. Se gli ‘alieni’ fossimo noi? Se fossimo diventati alieni a noi stessi, perdendo, spontaneamente o forse, forzatamente, la nostra identità, intesa come cuore, come ciò che rende uomo l’uomo? E se il surrogato d’identità, di cui parliamo spesso a sproposito, chiamandola addirittura ‘sovranità’, non ne fosse che una degradazione tossica, fonte di infinite differenziazioni, in popoli, culture, tribù, partiti, appartenenze, interessi, consorterie e tifoserie diverse e conflittuali?
(O) Oh bella! Io ho sempre temuto il contrario, che il potere mirasse a rimuovere le differenze e ad appiattirci sul modello di consumi funzionale all’economia, capitalistica o comunista non ha importanza.
(C) Le due cose possono essere avvenute in parallelo. Se togli l’essenziale, l’individuo si isola più facilmente e, priva di un riferimento comunitario, la persona diventa strumentalizzabile. Parole come ‘alienazione’ e ‘rimozione’ nel linguaggio della psicologia parlano di un disagio anche profondo.
(S) Non complicate con sofismi quello che è semplice. Chiamatela crisi, chiamatela epoca di cambiamento, la verità è che tutti stanno peggio e tutti si sentono minacciati nella loro quotidianità e tutti reagiscono con una violenza istintiva ad ogni avvenimento che diverge dalla normalità, dal quieto vivere atteso e questo genera ulteriori divisioni e contrasti. Non c’è bisogno di fantasticherie o di complottismi e nemmeno di psicanalisi per spiegarsi la frammentazione sociale, quella politica, le guerre finanziarie nelle borse e quelle tribali in Libia o in Somalia, tassisti contro Uber e ambulanti contro UE, CGIL contro voucher e ex PD contro Lotti, juventini contro tutti. È il vecchio, ‘sano’ egoismo, a due facce. Ogni tipo di contrasto e di lotta, persino la guerra, divide ma anche unisce, gli uni si uniscono più strettamente, per lottare contro gli altri.
Così, quello che chiamate populismo non è che una forma di autodifesa, direi già moderata e raffinata, rispetto all’istintività della reazione. Se non c’è la prevenzione, la reazione è sempre sproporzionata. Proprio per questo l’epoca di cambiamento appena iniziata richiederà più legge, più sanzione, più Stato, per rendere meno feroce il conflitto dei singoli e dei gruppi. In fondo, fin dal Codice di Hammurrabi, ‘occhio per occhio, dente per dente’, la durezza della legge modera e sostituisce la ferocia della vendetta. Meglio un muro che un’arma.
(C) I ‘muri’ sono una conseguenza della perdita di un’identità più profonda. Quando si sente il bisogno di costruire un muro per difendere qualcosa di proprio vuol dire che si è già stati sconfitti, che si è in ritirata. Parlo della società nel suo complesso, ovviamente, non dei casi singoli. Prendiamo il caso del ristoratore del lodigiano: non sarebbe stato meglio chiamare la polizia, piuttosto che affrontare i ladri col fucile? O dotarsi prima di antifurti più efficienti? Ma meglio ancora non sarebbe stato aiutare persone come quelle a integrarsi nella nostra società? Lascia pure che ci siano tutti i contrasti che hai elencato prima e molti altri ancora (anzi no, nemmeno questo sarebbe tollerabile); ma non posso ammettere che esista una sorta di ‘identità del male’; che il ‘male sociale’ non sia prevenibile e curabile.
Mi spiego meglio: non posso credere che sia giusto dare per persa quella che chiamavo identità profonda e accanirsi a difendere con ogni mezzo interessi particolari, pur se cospicui, come quelli di classi sociali e persino di nazioni intere. Il problema è come rendere persuasi di ciò i cittadini e come rendere le istituzioni capaci di ricucire gli strappi ormai così evidenti e gravi della società.
(O) Vorrei spingermi più avanti: quando si dice: “aiutiamo i migranti nel loro Paese, così non vengono qua”, non si dovrebbe pensare ad una specie di ‘muro virtuale’, a una forma di prevenzione, ma proprio all’attuazione di qualcosa che ci faccia vivere un destino comune, una reale identità umana, pur nella diversità delle contingenze concrete. Ma questo concetto vale in tutte circostanze, anche interne, dal lavoro al’educazione alle salute, all’assistenza. Siamo ancora in tempo a non scivolare verso una situazione di ‘guerra’ di tutti contro tutti.
Mi aspetto un messaggio forte in questo senso dalla visita del Papa a Milano; non credo che sarà soltanto ‘religiosa’, come se l’obiettivo del suo pontificato fosse soltanto riorganizzare, magari purificare la vita ecclesiastica. Mi aspetto che parli al cuore dell’uomo e in forza di questo, direi solo di questo e non di un’inclinazione per filosofie politiche mondane, richieda alla grande diocesi ambrosiana, da secoli in prima fila nella autoriforma della Chiesa, di porsi come motore e coscienza attiva di una ripresa dell’identità cristiana, come fattore di unione e non di contrapposizione di questa società civile stanca, confusa e rassegnata.
(C) Aggiungo solo che sono certo che questa presenza, segno sensibile della presenza di Cristo nella storia, darà forza e speranza anche alle singole persone, forse persino ai non credenti.
(C) Costante (O) Onirio Desti (S) Sebastiano Conformi
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