Come dice il mio amicus/frater Mani Botti, quando un albero cade, molti si fiondano a far legna. Assegnato alla politica contemporanea del Paesello nostro, l’asserto suggerisce che le case al freddo sono tante, di questi tempi. Perché le moltitudini accorrono, s’assembrano, sgomitano a raccoglier frasche.
Fuochi altro che fatui si levano in camini e caminetti. E diventano roghi fiammeggianti. Il bruciato è uno solo e soltanto: il fu presidente del Consiglio, autodepostosi il 5 dicembre scorso. Caricano le braci ex pompieri fattisi indiavolati badilanti di fascine, ceppi e rami da ardere. Chi gettava acqua sulle polemiche che obiettavano al rottamatore/riformista, ora s’industria a rovistare tra le ceneri attizzandole. Dàgli allo sconfitto del referendum costituzionale, dàgli all’ideatore della legge elettorale maggioritaria, dàgli al prediletto dei poteri forti, dàgli all’arrogante autoritario.
Come da costume antico, l’esercito dei trasformisti/girella/voltagabbana offre conferma d’essere il più numeroso. Forte d’uno sperimentato tatticismo, spietato nel calpestare i battuti, cinico a esercitare la massima cura dei tornaconti minimi. Jean Valjean, Cosette, Javert sono personaggetti da commediucola campano-deluchiana, non i giganti del drammone emozionante-narrativo di Victor Hugo. Là minuscoli Misérables e basta. Qui i veri, smisurati, ciclopici miserabili della narrazione politica/economica/sociale.
Lo schieramento imponente che aveva sostenuto Renzi nella temeraria impresa di cambiare l’Italia si va squagliando come neve al sole. Vae victis! gridò Brenno, capo dei Galli Sénoni, dopo aver invaso Roma quattro secoli prima di Cristo. La minaccia tramandata da Tito Livio conserva attualità. Dannato sia colui che perde. La vittoria ha mille padri, la sconfitta un’unica madre. Generalmente indicata non di buoni costumi anche, e specialmente, da coloro che non li avevano in precedenza individuati come cattivi.
A proposito di poteri forti: a) indietro tutta, dopo il tanto farsi avanti, cioè al fianco del promettente leader. A proposito di autoritarismo: b) cali la ghigliottina sull’applaudito decisionista divenuto insopportabile napoleonide. A proposito di referendum costituzionale e legge elettorale maggioritaria: c) ben venga la palude immobilissima del proporzionale dopo l’incitato muoversi contro la stagnazione. Fermate le macchine, ogni e qualsiasi macchina, pur che stia fermo lui.
Se Claude Monet dichiarando a Giverny “Seguo un sogno, voglio l’impossibile” chiamava al consenso una platea ben più numerosa di quella artistica, Matteo Renzi evocando pari pari a Torino analogo concetto evoca ormai solo dissenso in una platea ben più sterminata di quella d’un singolo partito. È la stessa che si spellò le mani per lui, e ora lo spella vivo in ogni angolo della penisola, Varese etiam: metaforicamente, ma mica tanto. D’altronde, parole di Esopo: “Nessuno deve pensare che, nel corso della vita, tutto debba sempre andargli bene, perché la sorte è mutevole; e dopo un lungo periodo di sereno è inevitabile che venga il brutto tempo”.
Ah, quest’aggettivo paradossalmente/improvvidamente nuvoloso. Emuli non sereni di Esopo (1) affollano il populismo italiano. Danzante come la piuma al vento. Tagliente come le raffiche d’una tempesta. Il galleggiare abbandonato della barchetta di Stato importa zero a chicchessia. Del resto, come si fa a parlare di senso della responsabilità quando, ricordava Pirandello, “…incontrate un pazzo che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica, la logica di tutte le vostre costruzioni? Volubili! Volubili! Oggi così e domani chissà come”.
Emuli altrettanto non sereni di Pirandello (2) affollano il populismo italiano. Rari volti e tante maschere. Certo non inferiori a centomila, numero carissimo al maestro letterario. Che romanzesca pupazzata.
You must be logged in to post a comment Login