A Dio piacendo, quando leggerete queste righe, il sole sarà tornato a splendere su Roma, la temperatura risalita lungo i gradi del termometro della capitale, la città pronta a mostrare quel volto pacioso e statuario che tutto il mondo ci invidia.
La Roma imbiancata dei giorni scorsi, oltre che dalla neve, é stata sepolta da tonnellate di inchiostro. Come é noto quaranta centimetri di fiocchi sulle colline e quindici sul centro hanno paralizzato il 3 Febbraio una città intera per quarantotto ore. Il sistema viabilistico e quello ferroviario sono rimasti bloccati. I disagi sono stati enormi per i passeggeri e gli automobilisti. Il Grande Raccordo Anulare ha cominciato a diventare una pista di pattinaggio nel tardo pomeriggio e pochi camion spargisale sono stati avvistati dai romani rimasti intrappolati nelle macchine. Chi non utilizzava un mezzo proprio per tornare a casa dal lavoro, non ha potuto contare sul sistema del trasporto pubblico: treni e autobus funzionavano a capacità ridotta. Il settantacinque per cento della flotta non era attrezzata con gomme da neve. La seconda ondata, venerdì 10, é stata retta meglio anche se sempre con scuole e uffici chiusi. Decisione che per un lombardo rimane sempre un po’ incomprensibile.
Tutto ciò ha ridato fiato ai frizzi e lazzi sui romani e sulle loro caratteristiche che li rendono riconoscibili: indolenza, approssimazione, arroganza. Da varesino trapiantato da più di trent’anni nella capitale questa volta mi sento però di operare qualche distinguo. Nel famoso venerdì nero del 3 al Tguno delle 13,30 già si poteva ascoltare il sindaco Alemanno invitare i romani a non uscire di casa. Se i cittadini non l’hanno ascoltato, é stato difficile poi evitare il caos.
Bisogna partire da una semplice constatazione: la capitale non é attrezzata ad affrontare la neve. Da questo punto di vista trovo particolarmente equilibrate le osservazioni di un collega tedesco,Tobias Pilier, corrispondente per la “Frankfurter Allgemeine Zeitung” e quindi non certo accusabile di simpatie mediterranee. “Roma non può essere paragonata a Monaco di Baviera” ci dice. “In una zona dove per quattro mesi all’anno si fanno i conti con la neve, ci sono attrezzi ed una routine consolidata per la gestione. Quando invece da voi nevica ogni ventisette anni, che senso avrebbe investire domani in tutti gli attrezzi necessari ad affrontare un evento come quello dei giorni scorsi? Forse sarebbero già arrugginiti ed i principi organizzativi dimenticati per la prossima nevicata. Dall’altro lato immaginiamoci un sindaco che spenda centinaia di migliaia di euro a fronte di una neve che poi non viene. Sarebbe anche questa una occasione per grandi risate da parte della critica”.
Tutto da assolvere nel comportamento dei romani? “No – risponde Pilier – Trovo una grande differenza con la nostra gente per la mancanza di senso civico. Da noi ognuno si sente obbligato a spalare almeno il marciapiede davanti casa. Tutti comunque si danno una mano. A Roma in zone centrali come piazza Cola di Rienzo dopo tre giorni c’era ancora neve ovunque, in attesa di fantomatici operatori del Comune che non si sono visti”.
Insomma se da un lato non si può imputare a una città che non conosce la neve di essere attrezzata come una capitale scandinava (e nessuno credo chiederebbe a Varese gli strumenti per affrontare una tempesta di sabbia), dall’altro il limite dell’assistenzialismo statale su cui vegetano i romani (“Francia o Spagna purché se magna”) è riapparso nel suo noto fulgore. Insomma, alla fine un pareggio. Dopo la grande neve dell’85 e quella del 2012, appuntamento alla prossima ( speriamo il più tardi possibile!).
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