Parafrasando Benedetto Croce, molta più classe dirigente di quanto non sembri, oggi, pensa dentro il Partito Democratico: “Come possiamo non dirci renziani?”.
Sì, perché nonostante tutto, la leadership dell’ex sindaco di Firenze uscirà dal prossimo congresso probabilmente rafforzata. Una parte della classe dirigente, a Roma e sul territorio, si prepara a divenire una minoranza stabile, ma con diritto di rappresentanza nella formazione delle liste. Tuttavia per chi vuole contare davvero qualcosa, oggi, esistere prioritariamente la strada della rincorsa a entrare nella corrente dei renziani.
È una dinamica assolutamente simile in tutti i territori. Uscendo dal dato nazionale, in provincia di Varese, il nostro microcosmo restituisce una dimostrazione plastica di questa realtà. Sintetizzando molto, dentro il PD si è aperta una competizione tra il gruppo dei renziani originari, che oggi esprimono il segretario provinciale Samuele Astuti, e una nuova corrente nata sull’onda del successo elettorale di Davide Galimberti nel comune di Varese. Galimberti, figlio della storia dei DS, originariamente bersaniano, negli ultimi tempi si è traghettato verso il potere fiorentino. La sua politica alternativa è stata notata quando il sindaco di Varese ha compiuto, in alcune sedi istituzionali, una serie di scelte in aperto contrasto con Astuti, dimostrando così di voler fare le scarpe alla segretario provinciale. Ad esempio, Galimberti ha negato al sindaco di Malnate i voti che gli servivano per eleggerlo in prima battuta rappresentante dell’assemblea dei sindaci di Como e Varese dentro la Ats Insubria.
Tuttavia la competizione non riguarda linee politiche diverse, ma tattica, tutta e solo tattica, e si gioca nello stesso identico campo riformista. I neo renziani guidati dall’onorevole Maria Chiara Gadda avranno probabilmente un candidato al prossimo congresso provinciale e si fa il nome del sindaco di Comerio Silvio Aimetti.
Le ripercussioni si vedranno nei prossimi mesi: i due gruppi di renziani sono destinati comunque a collaborare ma a tenersi d’occhio reciprocamente. Chissà che non prevalga chi riuscirà a stringere accordi con l’altra corrente che sta uscendo dal congresso, i seguaci di Andrea Orlando guidati dalla leadership di Daniele Marantelli, amico personale del ministro della giustizia.
Quello che dovrebbe essere però chiaro a tutti è che la sconfitta al referendum ha posto fine alla rottamazione, ma in teoria ha riaffermato l’idea di una politica per l’innovazione della sinistra. Le parole d’ordine lanciate al Lingotto hanno dato a tutti la sensazione che esiste ormai una leadership forte e stabile consolidata. Di delusi è pieno il mondo, ma costruire una proposta o una alternativa è un lavoro lungo e faticoso. Che spesso premia la continuità di un politico piuttosto che la sua novità. È un terreno del tutto nuovo per Matteo Renzi, ma segue nello spirito chi naviga da tempo nel PD e nel centrosinistra.
In fondo, nel bene o nel male, non è cambiato granché a queste latitudini. L’idea che Renzi sia un corpo estraneo, vista da vicino, appare davvero campata per aria. Al Lingotto c’era il Pd di sempre, e anche con un certo entusiasmo. Gioie e dolori, nel bene e nel male. E dunque avanti con il gioco delle correnti, da sempre irrinunciabile, anche a Varese, ma effetto collaterale di un bene prezioso: la discussione. Vietata ad altre latitudini.
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