A volte, leggendo le lettere pubblicate dai giornali quotidiani e anche quelle dei periodici online della provincia di Varese, mi è capitato di notare, non spesso per fortuna, che alcuni lettori, per lo più sempre gli stessi, amino criticare non il contenuto in sé della lettera scritta al direttore, ma un dettaglio e sovente le citazioni in esse riportate a supporto delle proprie tesi.
Nelle lettere questi lettori ipercritici sono soliti accusare l’incauto autore di turno della missiva di non aver contestualizzato le citazioni riportate e/o soprattutto di servirsi dei pensieri degli altri, senza produrne di propri.
Dire che le citazioni e i personaggi ai quali sono riconducibili debbano essere storicizzati significa dire un’ovvietà, e ciò è sommamente vero se si parla di una saggio critico, ma quando le citazioni si riportano nell’economia di una lettera di 2000/3000 battute e non in un saggio critico, nessuno pensa di assegnare allo scritto alcun valore di ricostruzione critica, quanto piuttosto molto modestamente di offrire, con il proprio contributo, lo spunto per alcune riflessioni funzionali al discorso che si intende sviluppare.
Questi critici imperterriti, incuranti di ciò, prendono una citazione e sparando una mitragliata di parole in dissenso, spesso spostano la riflessione dall’oggetto del contendere al soggetto, per screditarlo agli occhi di incauti lettori senza che alla tematica dibattuta vengano apportati ulteriori chiarimenti volti ad accrescere saperi, conoscenze e stimolare i pensieri dei lettori. Ciò premesso vorrei però nell’economia di questa mia riflessione non indugiare ulteriormente nella critica di questa pratica, di per sé improduttiva, e soffermarmi invece sul valore in sé della citazione, stimolato proprio dalla bella riflessione in proposito fatta dal cardinale Gianfranco Ravasi domenica 12 febbraio sul Domenicale del Sole24 ore, che vorrei riprendere in conclusione.
Nel corso della mia lunga attività di insegnante, di aggiornatore, di conferenziere e di collaboratore di quotidiani, riviste e periodici, mi sono sentito spesso rimproverare, da allievi, colleghi e superiori, per lo più in modo affettuoso, il mio vezzo di citare.
Me lo ha rimproverato ultimamente un mio caro ex allievo, ora manager cinquantenne. Nel rispondere ad un mio questionario, denso di citazioni, in preparazione del nostro libro: “Mass media a scuola come e perché, nei ricordi e nelle testimonianze di professore e dei suoi ex allievi”, ha concluso con queste parole la sua lettera di accompagnamento del suo contributo: “Amatissimo professore, mi permetto però di farLe un piccolo appunto: ceda finalmente all’umile tentazione di tutte quelle citazioni (che Le sono sempre piaciute da morire) e si convinca che è il momento di citare sé stesso; non sarebbe megalomania, ma un piccolo regalo che farebbe a sé stesso ed un dovuto riconoscimento al lavoro svolto con rara passione per una vita!”.
Ed ecco la mia risposta : “Caro Giuliano, le citazioni, come avrai capito, hanno per me un ruolo molto importante e il motivo risiede nelle giustificazioni (che faccio mie) che ne danno il filosofo spagnolo Fernando Savater nel suo “Dizionario Filosofico,” voce: “Citazioni” e il cardinale Ravasi. “La citazione – dice il filosofo Savater – ha i suoi nemici e i suoi sostenitori (…) visto che a me piace molto citare, in diverse occasioni mi sono imbattuto nei nemici delle citazioni intese come pura arte spensierata e appena ironica. Si arrabbiano con me, che cito con disinvoltura e, a volte, quasi senza dare riferimenti (…) Altri censori, invece mi rinfacciano non già la mia disinvoltura, ma la mania stessa di citare e sogliono farlo attraverso l’elogio indiretto: “ma tu non hai bisogno di queste stampelle… Perché non dici direttamente ciò che pensi e sai, senza appoggiarti a nessuno?”.
Quando ho l’occasione di svilupparla, l’apologia “pro domo” della citazione che sono solito formulare è più o meno, la seguente: Perché citare? I motivi sono due: la modestia e l’orgoglio.
Si cita per modestia, riconoscendo che la giusta convinzione che condividiamo è stata originata da altri e che noi siamo arrivati dopo. Si cita per orgoglio, poiché è più dignitoso e più cortese, secondo quanto disse Borges (mi perdoneranno la citazione?), andare orgogliosi delle pagine che si sono lette che non di quelle che si sono scritte. Come il viaggiatore parla delle cose che ha visto durante le sue avventure, o il cacciatore esibisce le teste essiccate delle sue prede migliori, o, ancora, come il viandante raccoglie i fiori che ha trovato in un mazzetto e lo offre alla persona amata, citare è un altro modo di dire:”non ho vissuto invano” e anche “stavo pensando a te”.
Nulla di tutto ciò ha qualche cosa a che vedere con il desiderio di erudizione, poiché l’erudizione non è altro che la “polvere che cade da uno scaffale di una biblioteca sopra una testa vuota”, secondo la frase lapidaria di Ambrose Bierce nel suo “Dizionario del diavolo” (santo cielo, un’altra citazione!). Del lavoro dell’erudito solo le citazioni sono memorabili; invece, chi sa citare perché sa anche scrivere, con le citazioni che sottolineano e accompagnano il suo testo, ne mette in risalto il merito di essere ricordato”.
In conclusione vorrei chiudere questa mia riflessione con queste belle considerazioni sul citare, tratte dalla riflessione del cardinale Ravasi, pubblicata sul domenicale del Sole 24ore del 12 febbraio 2012, “Nani e giganti”, “Breviario”, perché a me pare aggiungano considerazioni esaustive e inoppugnabili al valore della citazione.
“Tutti i pensieri intelligenti sono stati già pensati: occorre solo tentare di ripensarli”.
Di solito rispondo con questo frase di Goethe a tutti quelli che mi chiedono di giustificare il mio ricorso alle citazioni dei pensieri altrui e, quindi anche questo “Breviario”. Sto per altro in buona compagnia, se è vero che Sant’Agostino ha intarsiato le sue opere con qualcosa come sessantamila citazioni bibliche. C’è però, una spiegazione più profonda che dirò con un’ulteriore citazione. Bernardo di Chartres (XII sec.) usava un’immagine divenuta celebre: “Siamo nani sulle spalle di giganti”. Non partiamo mai da zero, nella scienza e nella filosofia, nell’arte e nella religione, ma ci fondiamo su idee grandiose che ripensiamo. Idee e intuizioni di giganti sulle cui spalle guardiamo l’orizzonte infinito dell’essere e dell’esistere. Ed è per questo che vediamo più lontano.”
A me sembra che l’uomo che ama il dialogo, e non la disputa cavillosa e saccente, proprio perché conscio dell’ insuperabile condizione umana di fallibilità e “ignoranza,” non solo rifugge dal fanatismo, inevitabile conseguenza della presunzione di onniscienza e di onnipotenza, ma vede nel confronto critico con l’Altro la via maestra per risolvere i problemi e per emendare i propri e gli altrui errori. Perciò confortato da queste belle riflessioni del filosofo spagnolo e del Cardinale Ravasi sul significato e il valore delle citazioni vorrei approfittare, poiché ho iniziato citando nel prologo, per concludere nell’epilogo con una pregnante citazione del grande Albrecht Dürer: “E renderò pubblico quel poco che ho appreso affinché qualcuno, di me più esperto, possa suggerire il vero, e con la sua opera dimostri e condanni il mio errore. Posso così rallegrarmi almeno, di essere stato uno strumento attraverso cui la verità è giunta alla luce”.
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