Mi spiace, forse credevo troppo in Renzi, alla fine del triennio mi ha profondamente deluso. Il renzismo mi sembrava la giusta linea liberaldemocratica e sociale con base su innovazione e sviluppo, versione più dinamica e grintosa di quella di Enrico Letta che prediligevo per il PD. Ma che c’entrano: l’esonero IMU prima casa anche per i milionari, l’innalzamento del limite del contante a 3000 Euro che non contrasta i malavitosi, lo SbloccaItalia in versione a favore della cementificazione e dei petrolieri?
E il fallimento della Buona Scuola, che non solo sacralizza il disastro educativo della Gelmini senza alcun impianto culturale vero (bastava riprendere l’unica buona ipotesi riformista precedente, la sperimentazione Brocca; ma già, quella era sinistra democristiana vera, bisogna cambiare per forza!), ma riesce anche nel miracolo negativo di far infuriare, e rivoltarsi contro il PD, 1 milione di insegnanti pur assumendone in ruolo 100.000, perché i balordissimi meccanismi di graduatoria sono l’esatto contrario del merito.
E il Jobs Act senza riuscire ad avviare un solido sistema di ricollocamento al lavoro; e senza riuscire a far ripartire l’economia con un piano straordinario di investimenti (in alternativa, o almeno complementarmente alla sola costosissima decontribuzione), unica garanzia che verso lo scadere dei 3 anni dalla nuova assunzione gli oltre 500.000 nuovi a tempo indeterminato non vengano furbescamente licenziati dopo il miraggio delle tutele crescenti (in realtà: prolungamento a 3 anni del periodo di prova). Con la riforma della Pubblica Amministrazione che, a parte i furbetti del cartellino, continua a riproporre vecchi, triti e ritriti proclami ministeriali d’efficienza senza costrutto.
Mentre gli 80 euro sono rimasti un bonus, in buona parte non spesi e finiti a risparmio in banca per paura di precario futuro; né si sono tradotti in reale riduzione IRPEF, con troppi sforamenti di fascia e conseguente restituzione. Coi corollari di inutili mance propagandistiche, dai 500 euro ai diciottenni per l’ennesimo tablet ultimo modello, ai 500 euro agli insegnanti che non compensano i bassissimi stipendi, e a fronte del continuo rinvio del reddito di inclusione sociale.
Col terzo debito pubblico più alto al mondo, spicca l’accantonamento totale della spending review di Cottarelli, che serviva anche a renderci credibili in Europa; e invece il pressing provocatorio sull’UE, a furia di slogan contro gli euroburocrati dopo aver rimosso i rappresentanti lettiani più apprezzati (Moavero), ha solo dato l’impressione di guasconate dalla retorica giovanilistica, prive di serietà e inclini ai trucchetti.
Intanto sul terremoto si aspettano ancora le casette dopo l’erosione organizzativa della Protezione Civile, e perfino sull’immigrazione Renzi ha solo lanciato il sasso con i messaggi nobili e ritirato la mano lasciandone la gestione all’inadatto Alfano, che gioca con l’emergenza e non riesce a mettere in piedi un dignitoso ed efficiente sistema di accoglienza. Salvo cedere ad Alfano sulla stepchild adoption nelle unioni civili, unico vero seppur parziale successo rivendicabile, dato che la maggior parte di altri esiti positivi non sono merito di Renzi ma dei parlamentari PD (leggi sullo spreco alimentare, sul terzo settore, eccetera).
Anche sulla legge elettorale i troppi cedimenti a Forza Italia hanno lasciato i capilista bloccati e soprattutto la mancanza del limite minimo per accedere al ballottaggio, che avrebbe certamente superato il controllo della Corte Costituzionale. Bastava mettere la soglia del 50% per la somma dei 2 primi arrivati, o almeno dello stesso 40% che serve a vincere al 1° turno: leggendo le 100 pagine della sentenza, lo si capisce chiaramente! E ora siamo riprecipitati nella Prima Repubblica, col ritorno al proporzionale e le spinte centrifughe, avendo già perso il Referendum perché Renzi non riusciva a capire che proprio l’identificazione con lui era una palla al piede insuperabile, perché non è più il valore aggiunto dell’inizio alle Europee, quando lanciava promesse troppo alte per non provocare poi profonde delusioni.
Ormai Renzi, dal secondo anno in poi, passando di errore in errore è diventato un Re Mida al contrario, tutto quello che tocca ha effetti negativi, e quel suo ottimismo di maniera non fa più sognare ma è solo irritante, col quasi 40% di disoccupazione giovanile e gli anziani che devono aiutare figli e nipoti, l’impoverimento della classe media e le periferie in tensione continua.
Ha coagulato un odio sociale che si è scatenato (impropriamente) al Referendum, ma non è affatto finito, e il suo ritorno in primo piano come nuovo Segretario può solo far riprendere l’emorragia di voti PD, che si stava attenuando dopo le sconfitte alle Regionali 2015 (Liguria; e moltissimi voti persi anche dove ha vinto) e alle comunali 2016 in cui s’è salvata solo Milano; mentre è solo dopo il suo ritiro da premier che con Gentiloni il CentroSinistra, risalendo nei sondaggi, ha ricominciato a sperare.
E con il suo Partito? Semplicemente rovinoso: con la scusa che rifiuta i “caminetti”, è stato il Segretario più divisivo di sempre, pronto solo – alla faccia delle vera rottamazione – ad accordarsi con capicorrente camaleonti per favorire se stesso e la sua carriera politica, e solo su questioni di potere, non su questioni di merito che correggessero gli errori che han costellato il suo governo; fino alla scissione da parte della minoranza maltrattata, travisata ed umiliata, di cui Renzi porta a dir poco metà della colpa. Nel frattempo gli iscritti al PD sono crollati ovunque, col paradosso che – nonostante l’impegno dei tanti bravi Giovani Democratici – resistono solo gli anziani quando lui si presentava come emblema di gioventù. Non gliene importa granché del suo Partito, è stato giusto un trampolino di lancio per le sue personalissime ambizioni.
Rispuntano tutti i suoi limiti, inizialmente coperti dalle suggestioni verbose della sua “narrazione”: sembrava semplicità per andar dritto allo scopo ed era superficialità, sembrava ambizione del meglio ed era presunzione, sembrava coraggio ed era cinismo fine a se stesso, sembrava sogno ed era enfasi retorica fumosa e vuota, sembrava visione di futuro ed era nuovismo ad ogni costo; e con quelli che si metteva intorno, sembrava spirito di squadra ed era “giglio magico”. Non ha avuto la capacità, essenziale in un vero leader, di scegliere i migliori; ma ha preferito i fedelissimi che non gli facessero ombra, giocando perfino sul fattore femminile con svariate belle statuine.
Avrei dovuto capirlo dallo spietato choc dell’inizio: far fuori Enrico Letta, troppo serio e bravo per lui. Ma sembrava un modo per “mettere il tigre nel motore”, nuova entusiasmante energia. Sembrava anche a me quello che sottolineava il segretario regionale Alfieri, che nessuno aveva come Renzi il feeling con l’elettorato, il fiuto e la sensibilità alle vere esigenze della gente. Ma se mai sintonia c’è stata – e non si è trattato solo di popolarità da marketing, di chi ama fare il “fenomeno” nel gioco a fare “il simpatico” – certamente non c’è più.
Oggi Renzi non è un “cavallo di razza”, non galoppa per trainare il suo Partito, lo trascina nella palude da cui pretendeva di tirarlo fuori, e rischia di trascinare Partito e Paese nel dirupo, se gli si dà ancora corda. Dopo aver proclamato che lasciava la politica, è tornato sui suoi passi: come fa a reggere se non è più Segretario di Partito, non essendo nemmeno Parlamentare? E tutto il PD deve restare incatenato al carrierismo di un singolo?
Mi spiace perché mi ero illuso sulla spinta ideale iniziale e sulle speranze evocate, e alcuni tifosi del renzismo mi convincevano davvero e meritavano massima stima, specie a livello locale. Se ci fosse un renzismo senza Renzi, un renzismo critico alla Gentiloni, Del Rio e Richetti, alla Alfieri, Astuti, Adamoli lo sosterrei e vorrei che tornasse Enrico Letta a guidarlo, tutto un altro pianeta. Ma Letta è stato “serenamente” fatto fuori, e Renzi vuol continuare a tener la frusta in mano.
“A rieccolo!” dicevano di Fanfani; ci è bastato e ci basta, meglio chiunque altro per guidare il PD, e che non pretenda di guidare anche il Governo sol perché – se ci fosse ancora Renzi come Segretario – qualunque Governo PD non guidato da lui sarebbe sempre “serenamente” in pericolo. Il Segretario deve occuparsi del Partito e promuovere, sostenere e incalzare l’azione di un Governo amico, non inchiodandosi alla sua sorte ma nemmeno minandolo dall’interno; quindi vanno scissi i due ruoli, salvaguardando appoggio solidale e obiettività di giudizio.
Per iscritti e simpatizzanti PD, resta da scegliere tra Emiliano e Orlando. D’Emiliano a Varese non c’è referente, inevitabile qui scegliere Orlando: nonostante il discutibile affiancamento a Renzi in questi 3 anni e varie timidezze nel campo della giustizia, il suo ripensamento sugli errori di questo periodo è sincero e lungimirante, e non gli manca quell’indispensabile profilo di serietà che Renzi ha sprecato. Il cambiamento serio può ricominciare da qui.
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