La maestra elementare Celestina Caddi, si legge nell’Archivio Comunale di Varese, era nata a Milano, da ignoti, il 25 maggio del 1865. Nel 1892 la troviamo a Varese.
Si assenta dalla scuola Parini in Giubiano per il suo primo parto ma il periodo concessole è molto breve. Una brutta bronchite la costringe a chiedere altri giorni di permesso.
Il dottor Achille Tettamanti, medico chirurgo in Varese, certifica che “la signora Celestina Caddi in Zucchi, di anni 26, puerpera, è affetta da catarro bronchiale e dal sottoscritto costretta in casa”.
È febbraio. Le scuole comunali hanno aule grandi, fredde, sia per i bambini, di frequente non adeguatamente coperti, sia per la neo mamma. Un periodo di riposo post partum non è contemplato, sarà una conquista dei decenni a venire.
Negli stessi giorni la donna invia una lettera all’assessore della Pubblica Istruzione, Luigi Zanzi, perché, in previsione del rientro, teme di non poter gestire la sua classe di quaranta bambine di prima, molte delle quali di famiglie povere e analfabete. Chiede un aiuto, propone che si chiami la signorina Macchi Irene, già “sottomaestra” in una scuola rurale.
Dai documenti non è dato di sapere se la puerpera, rientrata in servizio dopo l’assenza per malattia, abbia ottenuto il supporto di un’aiutante.
Sfiancata dall’insegnamento a classi così affollate, pochi mesi dopo aveva chiesto al Comune che le fosse assegnata una classe di scuola rurale, meno numerosa e quindi meno pesante da gestire. Il Consiglio Comunale, verificato che aveva superato un regolare concorso ed era stata ritenuta idonea dal Consiglio Scolastico Provinciale di Como, da cui allora dipendevano le scuole di Varese, accoglie la sua istanza.
La Caddi lavorerà nella scuola fino al pensionamento, raggiunto nel 1919, all’età di 54 anni.
Meno fortunata la maestra della sezione tutta maschile della scuola Parini, la signora Ghiringhelli Elisa in Mentasti: lascia solo fugaci notizie di sé nel fascicolo personale perché la sua è una carriera scolastica frammentaria, con documenti poco chiari e alcune tristi note familiari.
Non riuscirà mai a entrare nei ruoli come la collega Caddi.
In un documento del 1898, l’assessore Bianchi, che ha sostituito Zanzi, si appunta alcune riflessioni in calce ad una sua lettera giunta da Buenos Aires, Argentina, contenente la richiesta di riassunzione in servizio.
La maestra Ghiringhelli vorrebbe essere reintegrata nel posto da lei lasciato anni prima.
Ma che cosa ci fa la signora Ghiringhelli oltre oceano? Ha seguito il figlio e la nuora credendo di trovare appoggio presso una parente. Ora vive in miseria, il clima le nuoce profondamente, è amaramente pentita di aver dato le dimissioni “sotto l’impressione di un forte dispiacere, che non ho osato dire a nessuno”. Forse si tratta di un lutto o forse di un abbandono, frequente a quei tempi da parte di uomini che emigravano in continenti lontani dove talvolta iniziavano una nuova vita. Infatti non vi è alcun cenno al coniuge, signor Mentasti. La donna prega, scongiura “ginocchioni”, implora la benevolenza degli amministratori varesini perché le venga restituito il “suo” posto che non è ancora stato messo a concorso.
Ci pare di vederla, china a scrivere, a lume di candela, in una povera casa di Calle Europa 3354. È la sera del 7 marzo 1898.
Non si commuoveranno più di tanto gli amministratori varesini, pur colpiti, ci sembra di leggere nelle note riportate a matita, dall’angoscia contenuta nelle parole della Ghiringhelli. D’altronde la povertà era una caratteristica comune a molte persone: “altre maestre, povere e meritevoli, relegate al ruolo di sottomaestre, attendono un posto di lavoro fisso” è scritto. Inoltre, annota l’Assessore, la maestra si è dimessa spontaneamente. La risposta del Sindaco, datata 5 aprile 1898, contiene, senza troppi giri di parole, la sentenza definitiva “…la sua domanda non può essere accolta senza commettere una evidente ingiustizia. Tuttavia, in vista delle condizioni e dei buoni precedenti di Lei, vedrà questa Giunta di poterle assegnare un posto di sottomaestra per il venturo anno scolastico”.
Non si trovano successivi atti amministrativi.
E qui si interrompe la nostra piccola storia: la promessa del Comune non fu mantenuta oppure la donna rinunciò, e chissà perché, a rientrare in Italia?
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