«Avremo pace vera, quando avremo li Stati Uniti d’Europa».
Sono queste le parole con cui Carlo Cattaneo concludeva il suo volume Dell’insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra. Memorie, stampato a Lugano nel 1849. Cattaneo, democratico e repubblicano, fu anche un convinto sostenitore di una visione federalista dello Stato. Solo in una organizzazione federale dello Stato, infatti, avrebbe potuto esprimersi, secondo lui, il pluralismo sociale, culturale e religioso, vera ricchezza della società civile. Tale visione andava ben oltre i confini dello Stato-nazione, spingendosi a prefigurare un futuro ordine europeo e mondiale in senso federalista, fondato sull’affermazione dell’uguaglianza e della solidarietà tra i popoli, sulla libertà e sul progresso. Cattaneo sognava per l’Europa il momento in cui essa «potesse, per consenso repentino, farsi tutta simile alla Svizzera, tutta simile all’America, quel giorno ch’ella si iscrivesse in fronte: Stati Uniti d’Europa».
Questo sogno sembrò potesse realizzarsi nella primavera del 1848, quando in tutta Europa i popoli furono sul punto di spazzar via le antiche strutture politiche monocratiche e assolutiste. Cattaneo credette allora che fosse giunto il momento di un nuovo corso della storia europea. Nella notte che precedette le Cinque giornate di Milano, il Gran lombardo redasse il programma di un giornale che avrebbe dovuto intitolarsi «Il Cisalpino» e in cui riversò la sua visione politica su scala europea. In quelle ore, gli sembrò possibile, come scrisse, che le «patrie», «tutte libere, tutte armate, [potessero] vivere l’una accanto all’altra, senza nuocersi, senza impedirsi».
Negli stessi anni in cui Carlo Cattaneo pensava che il suo sogno di un’Europa federale, pacificata e libera potesse realizzarsi, il grande scrittore francese Victor Hugo si esprimeva con toni e parole molto simili. Lo fece in occasione del Congresso internazionale per la pace svoltosi a Parigi dal 22 al 24 agosto del 1849 e del quale fu presidente. In un contesto politico particolarmente delicato, a causa di quanto era appena avvenuto in Europa l’anno precedente, i delegati convenuti a Parigi avrebbero dovuto dibattere intorno a tre temi: l’arbitraggio, il disarmo e l’organizzazione di un successivo congresso mondiale. Fu fatta esplicita richiesta di non fare alcun riferimento, nel corso degli interventi, alla situazione politica di quei mesi.
Victor Hugo inaugurò i lavori con un discorso in cui legava il sogno, già coltivato da Kant, di una pace perpetua alla possibilità che gli Stati europei pervenissero ad una forma di convivenza politica, fondata sulla fratellanza e sulla solidarietà: «Verrà un giorno in cui in Francia, in Russia, in Italia, in Inghilterra, in Germania, in tutte le nazioni del continente, senza perdere le nostre qualità distinte e le nostre gloriose individualità, vi unirete serenamente in una unità superiore e costruirete la fratellanza europea, così come la Normandia, la Bretagna, la Borgogna e tutte le nostre province si sono fuse nella Francia […]. Verrà un giorno in cui non esisteranno più altri campi di battaglia se non i mercati, che si apriranno al commercio, e gli spiriti, che sono aperti alle idee. Verrà un giorno in cui le pallottole e le granate saranno sostituite dal diritto di voto, dall’armonizzazione universale dei popoli, dal rispettabile tribunale arbitrale di un senato grande e sovrano […]. Verrà un giorno in cui si vedrà come i due grandi gruppi di paesi, gli stati Uniti d’America e gli stati Uniti d’Europa […], si guarderanno in faccia, si porgeranno la mano attraverso i mari, scambieranno i loro prodotti, il loro commercio, le loro industrie, le loro arti, i loro geni al fine di trarre dalla collaborazione fra le due forze infinite, fra la fraternità degli uomini e l’onnipotenza di Dio, il maggiore benessere possibile per tutti!».
Verrà un giorno, scriveva Hugo… La storia sembrava tendere, naturalmente, verso la costituzione di una Europa libera e solidale. Di questo parere era, ad esempio, Antonio Gramsci, che, nel Quaderno n. 6, redatto in carcere nei primi anni Trenta, così annotava: «La storia contemporanea offre un modello per comprendere il passato italiano: esiste oggi una coscienza culturale europea ed esiste una serie di manifestazioni di intellettuali e uomini politici che sostengono la necessità di una unione europea: si può anche dire che il processo storico tende a questa unione e che esistono molte forze materiali che solo in questa unione potranno svilupparsi: se fra x anni questa unione sarà realizzata la parola «nazionalismo» avrà lo stesso valore archeologico dell’attuale “municipalismo”».
Tuttavia, la talpa della storia procede in modo imprevedibile… Il percorso che avrebbe condotto ad un’Europa «libera e unita […] premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna», come scrivevano Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi alla fine degli anni Trenta dall’isola di Ventotene, si sarebbe dimostrato più accidentato di quanto il bisogno di pace non lasciasse sperare.
Oggi, ci troviamo a dover fare i conti con una condizione antropologica e culturale nuova: la globalizzazione, iniziata tra Sei e Settecento, ha avuto, in anni recenti, una straordinaria accelerazione e l’ampliamento dei mercati ha avvicinato uomini e culture; nello stesso tempo, la possibilità di avere una visione sinottica di ciò che accade nel mondo e la consapevolezza di far parte di un contesto in continua trasformazione hanno in qualche modo destabilizzato l’individuo, che trova oggi più difficile orientarsi e dare un senso alla propria vita. Nella difficoltà di trovare un equilibrio tra il bisogno psicologico di un «centro» e la complessità e la velocità di quanto accade nel mondo, eleviamo di nuovo muri, ridisegniamo le frontiere, costruiamo recinti. Con la non trascurabile particolarità che muri, frontiere e recinti risultano oggi inevitabilmente porosi, permeabili e mobili (Riprendo queste ultime considerazione dal libro del filosofo Remo Bodei, Limite, del 2016).
E l’Europa? E l’Europa, mai veramente compiuta politicamente, è di nuovo attraversata da rigurgiti nazionalisti, dalla voglia di definire la propria identità partendo dall’esclusione e dalla chiusura. Come, del resto, sembra andare il resto del pianeta, con il ritorno a politiche protezionistiche e con la ritrovata voglia di riarmarsi. L’Europa, quella di Cattaneo e Mazzini, di Hugo, di Ernesto Rossi, Colorni e Spinelli, quella di Gramsci, di Schuman, di Luigi Einaudi e di tanti altri, è relegata, per adesso, nel cassetto dei sogni.
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