L’analisi di situazioni determinanti per alcune svolte nella storia civica del Nord Ovest di Lombardia ha fatto riaffiorare la portata di un errore commesso dai padri costituenti della Regione. Avendo essi forse l’ambizione di dare alla nuova istituzione un taglio parlamentare non si preoccuparono di limitare nel tempo, con una norma statutaria, i mandati presidenziali, come avviene per i sindaci. E così ci siamo sorbiti per ben quattro volte (1995-2013) Roberto Formigoni la cui iniziale e positiva matrice di cattolico DOC divenne alla fine DOP, di origine protetta, considerati trinceramenti e battaglie che si sono resi indispensabili per difenderlo da situazioni negative attribuitegli da avversari politici e ambienti giudiziari.
La lunga e libera permanenza di Formigoni al potere si è rivelata alla fine non positiva come la si annunciava a metà degli Anni 90, ma il declino personale e del movimento che aveva proposto il giovane leader al’attenzione generale non può essere attribuito unicamente all’assenza di una norma statutaria: sono infatti saltati ben altri meccanismi di controllo degli equilibri che garantiscono autorevolezza alla gestione, molto complessa, della cosa pubblica.
La vigilanza e la prevenzione nella gestione sono fondamentali e la vicenda del Molina ce lo ha ricordato clamorosamente. Gli statuti per esempio non vanno lasciati invecchiare e devono essere in grado di rispondere a esigenze e mutamenti imposti dal progresso.
Quanto tempo è trascorso da una revisione costruttiva dello statuto del Molina antecedente la marcia su viale Borri della silenziosa pattuglia di ricercatori ex dc? Possibile che si superi di qualche decennio il secolo e sarebbero passati parecchi altri anni se non ci fosse stato l’evento finanziario che ha suscitato perplessità non nell’opposizione, ma in ex compagni di viaggio politico attratti appunto dall’innovativo governo della Fondazione Molina. Sappiamo che ci vorranno mesi per una decisione togata prima che si concluda il percorso giudiziario e il Molina possa essere affidato di nuovo a persone senza poteri da commissario. Un periodo di tempo che per istituzioni come Chiesa e Comune è più che sufficiente per concordare i ritocchi indispensabili per una gestione moderna, agile, trasparente di un patrimonio finanziario, sociale e morale che da sempre è avanguardia nell’assistenza ai nostri anziani. Oggi il Molina dà lavoro a 500 persone che devono prendersi cura di 500 ospiti. È un’azienda che deve amministrare donazioni milionarie e che riceve ogni anno notevoli contributi dalla Regione: nulla di più chiaro e trasparente ci può essere al suo interno, appellarsi quindi a uno statuto arcaico per spiegare scelte fatte dai vertici se giuridicamente ha una consistenza è di una ineleganza e di una inopportunità politica che devono essere superate con la riscrittura di regole all’altezza dei tempi e che tengano conto anche di esigenze di rappresentatività di coloro che a vario titolo lavorano nella Fondazione rendendo un nobile servizio alla città.
Davanti a una realtà così diversa e alle sue belle tradizioni chissà se la politica farà un passo indietro rispetto alle sue abitudini odierne. Si spera il Molina non sia considerato come un centro di potere, un’occasione, ma semplicemente una mano tesa proprio alla città che dalla politica stessa poco o nulla ha avuto in questi anni soprattutto in termini di tutela della salute.
Le vicende, davvero tristi, dell’ospedale di Circolo sono lì a dimostrarlo. I varesini hanno reagito spedendo il Centrodestra all’opposizione. Una soluzione rispettosa del problema è a portata di mano se si pensa al giudizioso distacco avuto storicamente dai partiti nei confronti della Fondazione. Per tutto l’arco dei sindaci leghisti – ai quali toccava la designazione di quasi tutta la squadra del Molina – le opposizioni non hanno mai creato problemi che invece oggi sono esplosi all’interno dell’ex maggioranza.
Esigenze statutarie a parte, oggi anche la questione Molina potrebbe riavvicinare la città alla politica dei tempi in cui chi si distingueva per sensibilità e scelte sociali veniva chiamato a ricoprire delicati incarichi pubblici.
La cronaca del Dopoguerra ci dice che sono state collaborazioni vincenti, i cittadini non l’hanno dimenticato e oggi – le elezioni amministrative lo hanno dimostrato – con le liste civiche l’ex popolo degli indifferenti o degli annoiati è già in grado di dimostrare quanto stia diventando consistente il suo peso nei rapporti con la politica.
Allora ecco che anche uno statuto moderno per il Molina può essere un importante segnale se il servizio ai nostri anziani sarà riprogrammato nel rispetto di una cultura assistenziale già esemplare, ma che potrà avere riferimenti ancora più agili e moderni. Tali da scoraggiare chi vuole praticare vecchi percorsi con vecchi sistemi.
Il recupero del rapporto tra politica e cittadini ha indirettamente avuto una indicazione dalla nomina a cavaliere di Ambrogina Zanzi e Guido Ermolli, esempi di dedizione professionale e istituzionale e di amore per Varese. La dottoressa Zanzi è una amministratrice di grande livello e combatte la buona battaglia sociale e culturale guidando gli Amici del Sacro Monte.
Guido Ermolli, ex segretario del sindaco Ossola, aclista militante, come esemplare ex presidente del Molina è stato eliminato da congiurati del suo partito, di ispirazione cristiana.
Zanzi ed Ermolli hanno ricevuto la nomina decisa dal presidente della Repubblica su segnalazione partita da Varese. Conta molto avere un Prefetto intelligente, molto discreto e che come concittadino conosca alla perfezione la nostra gente. Se un giorno anche Bobbiate dovesse avere il potere di assegnare cavalierati si ritroverebbe con dei problemi. Di inflazione, in ambito politico.
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