In termini di riconoscimento universale dei diritti umani risulta necessario legare essenzialmente il diritto alla morale, non bastando più la firma della norma. Urge la presenza di un contenuto adeguato, mentre si manifesta complesso il rapporto tra fondazione e garanzia. Sullo sfondo recente la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che ha fatto seguito nel 1950, con prescrizione vincolante per gli Stati membri. Del 1966 è il Patto internazionale sui diritti civili e politici (diritto alla vita e diritto di voto), accompagnato dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (per esempio il diritto alla salute) per la tutela parimenti vincolante a livello mondiale.
Tra gli interventi volti a renderne efficace l’esigibilità sono l’istituzione della Corte europea per i diritti dell’uomo con sede a Strasburgo (per disposizione della convenzione del 1950) e la Corte penale internazionale, attiva dal 2002, competente per i reati stabiliti dallo Statuto di Roma (1998). Si occupa segnatamente dei crimini commessi contro l’umanità.
Nell’Ottocento sono risuonate le critiche mosse alle rivendicazioni rivoluzionarie dall’utilitarista inglese Jeremy Bentham, considerate utili solo ad alimentare lo spirito di insurrezione nei confronti delle leggi e del potere politico. Karl Marx, a sua volta, respingeva l’ideale dei diritti dell’uomo, perché fondato su una nozione astratta della sfera politico-istituzionale, avulsa dal concreto terreno della relazione economico-sociale, oltre che su una concezione della libertà limitata all’individuo isolato.
Nel tardo Novecento si sono affacciate correnti come quella del femminismo radicale, a rimettere in discussione, oltre il concetto dei diritti soggettivi, la logica oppressiva di fondo, cui farebbero riferimento.
John Rawls considera i diritti umani diritti morali, validi a prescindere dalla loro ratifica costituzionale. Nodo controverso è quello che concerne il carattere assoluto oppure relativo dei diritti. I diritti dell’uomo risultano poi eterogenei; i diritti sociali a esempio individuano poteri ed obiettivi piuttosto che protezioni e libertà, com’è dei diritti civili e politici. Manca l’immediata traducibilità nei corrispondenti doveri.
Tre sono le teorie che riguardano i diritti umani: formalistiche, sostanzialistiche, procedurali. Nel primo ambito i diritti fondamentali si affacciano come diritti primari delle persone e non solo dei cittadini. Caratteristiche sono l’inalienabilità e l’indisponibilità anche per il soggetto che ne è titolare. Le teorie sostanzialistiche concentrano invece l’attenzione sul momento fondazionale. L’accezione di matrice perfezionistica segna una continuità ideale con la tradizione del diritto naturale aristotelica.
I diritti umani vi figurano come strumenti giuridici adeguati alla promozione dei beni fondamentali per l’uomo che vive in una comunità politica. Vi si riscontra l’autoevidenza razionale della vita buona da tutelare.
Alan Gewirth (n.1912) accredita una fondazione di carattere logico-deduttivo, muovendo dalle caratteristiche inerenti a ogni soggetto umano. Ogni persona vi è riconosciuta come agente libero.
Le teorie procedurali affidano a un metodo formale l’onere normativo della giustificazione. La ratio ispiratrice è nell’approccio a ll’ ideale di giustizia presentato da John Rawls nel 1971 (A Theory of Justice). Non si può più conferire un ruolo fondativo al diritto naturale e al contempo ci si deve sottrarre a un insidioso relativismo avalutativo.
Nella teoria costituzionalistica di Ronald Dworkin (1931-2013) il diritto è ritenuto come un’interpretazione non affidata alla discrezionalità giudiziaria, bensì alla capacità di giudizio propria di un giudice ideale, che sappia rispettare, in ultima istanza, i diritti soggettivi fondati su una premessa normativa generalissima: il dovere morale di un’uguale considerazione e rispetto per ciascuno. Secondo la teoria discorsiva di Jürgen Habermas (n. 1929) i diritti soggettivi scaturiscono dalla stessa prassi democratica. I depositari dei diritti sono anche gli autori delle norme che li sanciscono, sono visti come regole strutturali di una democrazia. Diritti e sovranità rimandano gli uni all’altra.
Risulta un ostacolo strutturale il carattere assoluto della sovranità degli Stati come il consensualismo degli accordi internazionali, per cui i diritti valgono solo in caso di approvazione statale ed esclusivamente per i singoli Paesi aderenti. Si impone un gesto di autolimitazione sovrana da parte degli Stati con la concreta intenzione di rendere cogente il conseguente vincolo. Comunque si deve tener conto delle forme più o meno sedimentate di soggezione dei gruppi sociali più deboli.
Per quanto concerne i diritti delle donne la lotta risale agli anni della Rivoluzione francese. Più recenti sono le rivendicazioni dei diritti collettivi di disabili, di omosessuali. Nuovi problemi e rischi si affacciano in tema d’ambiente, di integrità genetica, di prospettive che investano le esigenze delle future generazioni.
La Dichiarazione universale Unesco dei diritti degli animali è intervenuta nel 1978. Tom Regan (n. 1938) si presenta come il maggiore rappresentante di questa difesa. Se gli esseri umani nella sfera morale compaiono come agenti, pazienti morali sono invece gli animali. I diritti degli animali non sono una generica estensione dei diritti umani, bensì dispongono di una propria autonomia teorica.
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