Ironizzare sulla “vocazione” della sinistra a scindersi è fin troppo facile. Così come lo è ridurre la frattura prodottasi nel PD a mero gioco di potere o a scontri personali (scomodando persino categorie impolitiche come l’odio e il rancore). Questo però è il gioco che impazza in questi giorni di forti tensioni e scomposizioni politiche. Intendiamoci, nello scontro interno ed esterno ai partiti i fattori caratteriali, le ambizioni personali, le convergenze e/o le insofferenze reciproche, hanno il loro peso. Tuttavia la sostanza delle cose non è così banale e semplicistica. I problemi sono maledettamente più seri e non saranno certamente risolti affidandosi alle tifoserie.
Per uscire da questo circolo vizioso bisogna rimettere al centro dell’attenzione i fatti concreti e gli avvenimenti reali che segnano la vita di milioni di persone, che scompongono assetti ed equilibri sociali, che producono incertezza e sfiducia nel futuro. È dentro questi processi che il distacco e la sfiducia dei cittadini verso i partiti e la politica sono cresciuti a dismisura. Dunque è da qui che bisogna partire per comprendere la crisi profonda in cui si dibattono partiti, politica, istituzioni.
Se alziamo lo sguardo oltre i partiti di riferimento e anche oltre i confini nazionali, possiamo facilmente scoprire che siamo in presenza di una crisi “generale”. Un travaglio cioè che investe tutti i soggetti, da quelli storici a quelli di più recente formazione.
Stiamo vivendo un passaggio epocale segnato dall’esaurirsi delle condizioni che per un lungo periodo di tempo hanno consentito la nascita e lo sviluppo dei partiti di massa e, con essi, della democrazia partecipata. A dire il vero quel ciclo virtuoso si era concluso da tempo, ma si è fatto fatica a comprenderne la portata o, in alcuni casi, lo si è voluto deliberatamente ignorare confidando nella possibilità di una “crescita” annunciata (o invocata) ripetutamente, ma in realtà mai arrivata. Certo i tentativi per fronteggiare la “malattia” non sono mancati.
Ma la cura ha aggravato la situazione perché ci si è limitati ad intervenire sui sintomi più appariscenti (la caduta di consenso o la “debole governabilità”) e non sulle cause reali della crisi che sono innanzitutto economiche e sociali.
È dagli anni novanta che ci si sbizzarrisce sulle leggi elettorali, sulla forma-partito, sugli assetti istituzionali e, persino, sulla Costituzione. Tutto questo però è servito a ben poco. Anzi gli eccessi derivanti dal maggioritario hanno prodotto una deriva personalistica (con leader dotati di presunte virtù taumaturgiche) che ha contribuito progressivamente a svuotare i partiti dalla funzione attribuita loro dalla Costituzione. Le cause reali della crisi andavano invece ricercate nei mutamenti prodotti dalla “globalizzazione” e dal predominio di un nuovo soggetto: il capitale finanziario. Due processi che hanno gravemente compromesso i margini d’azione dei partiti e delle istituzioni, entrambi sempre più incapaci di formulare soluzioni e proposte alternative a quelle imposte da un mercato che opera a briglie sciolte.
Ma se le forze politiche, in particolare quelle di sinistra o di centrosinistra che dir si voglia, appaiono subalterne a quelle logiche o ne diventano addirittura i portavoce perché poi meravigliarsi delle lacerazioni e delle fratture interne o, peggio ancora, della fuga della società civili verso altri lidi? Siamo giunti ad un punto di non ritorno e non basta più neppure invocare l’unità “altrimenti vince la destra”. Ma i risultati o il successo delle destre o dei populismi di varia natura non dipendono dalle “divisioni” a sinistra, ma dalle mancate risposte e dalla perdita di credibilità e di rappresentatività dei partiti che dovrebbero incarnarla.
Se le disuguaglianze crescono e viene meno la speranza di futuro è persino ovvio che le prime forze a soccombere siano proprio quelle che non hanno saputo agire in coerenza con i propri principi e i propri valori. La vera posta in gioco non è il destino di questo o di quello, ma le sorti stesse della democrazia. Ed è per questo che lo scontro di questi giorni, le scomposizioni e le ricomposizioni in corso, potranno essere un fattore positivo e di svolta solo se i soggetti in campo saranno capaci di rigenerare valori, programmi, pratiche politiche, alternative a quelle dominanti e saldamente ancorati alle aspirazioni, alle domande ed ai bisogni reali delle donne e degli uomini in carne e ossa.
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