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Attualità

NELLO SPAZIO E NEL TEMPO

MANIGLIO BOTTI - 24/02/2017

dnaLa notizia della mutazione del Dna – e in ispecie nei cromosomi della longevità – in un astronauta americano, Scott Kelly, che ha girato nello spazio per quasi un anno, rispetto al fratello gemello Mark anch’egli astronauta ma nell’occasione rimasto a terra, è giustamente finita sulla prima pagina del Corriere della Sera e in posizione di rilievo nelle pagine di altri giornali.

Anche chi è del tutto digiuno di biologia molecolare, e anche di scienza in generale, come chi scrive, non può non rilevare l’importanza di una notizia del genere, a parte una generica curiosità. Nonostante poi, un po’ di tempo dopo il rientro, i cromosomi di Scott Kelly siano rientrati nei parametri della normalità, cioè più o meno uguali a quelli del fratello; e nonostante il commento di alcuni specialisti i quali hanno affermato che tutto ciò non rappresenta per loro una novità. Ma la sorpresa – per non dire lo sconcerto – di una scoperta del genere continua a suscitare riflessioni e pensieri tra i profani. In chi li vuole fare, naturalmente.

S’è detto, intanto, che la ragione di questo mutamento (provvisorio?) derivasse in conseguenza della mancanza di gravità, gravità assente per l’astronauta “in volo”, e ben presente invece per il fratello rimasto con i piedi ben piantati per terra. Data anche per accettata questa considerazione “scientifica” non è tuttavia che la questione venga risolta e messa in un cassetto.

Perché se è vero che il Dna è una sorta di carta d’identità esclusiva e permanente della persona (si pensi per esempio al caso di certe malattie trasmesse a seguito di mutazioni genetiche, che però non sempre hanno uguali effetti e corrispondenze su tutti i soggetti) è anche vero, a quanto pare e stando a quanto è evidentemente accaduto, e fatte tutte le dovute proporzioni e considerazioni, che il Dna dell’uomo – e nel nostro caso un singolo e ben definito individuo – non è un qualcosa scolpito nell’alabastro.

Come non pensare allora che il Dna (più la psiche, il carattere e anche la salute fisica, come si sa), forza di gravità a parte, non possa subire altrettante mutazioni – più o meno temporanee – per esempio in chi vive in un tranquillo e un po’ sonnacchioso borgo di montagna, rispetto a un altro che si arrabatta in una grande città tra lavori stressanti, code in auto e – magari – anche polveri sottili? Se non altro, perché anche le suddette altre opinioni sembrano dimostrate dalla scienza e dal buon senso, si dovrebbe lavorare per capire che cosa capita nel Dna. Nei geni della longevità e non solo.

Insomma il dibattito sull’uomo, che è un essere collocato nelle categorie dello spazio e del tempo, constatabili in concreto ma anche sempre più misteriose, si amplia a dismisura. Se si fa mente locale al fatto che una persona non è e non sarà mai più la stessa a ogni minimo istante che passa, ci si trova (e ci si immagina) dinanzi a scenari complessi e imprevisti, che non toccano solo la vita quotidiana – e infine la morte – di un singolo, ma il passato e il futuro di tutti gli esseri, di tutti gli individui in una realtà cosmica e adimensionata; ed entrano anche in gioco la poesia, la musica, la letteratura le arti come elementi di supporto, e i pensieri e le preghiere rivolte a entità soprannaturali – in qualsiasi modo esse si manifestino – come un’immensa, eterna energia.

Il mistero resta tale, ed è giusto e opportuno che sia così. Il rimando alla letteratura – e nel caso al teatro – fa venire in mente quanto Shakespeare nell’Amleto (primo atto, quarta scena) fa dire dal protagonista all’amico Orazio, e in realtà a ogni uomo: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia…”. Proprio così. E chissà che l’astronauta Kelly non abbia dato una mano a seguire nuovi percorsi, nuove tracce.

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