In questi giorni faremmo volentieri a meno dei politici nazionali che pur di difendere i loro ricchi orticelli (di destra, di centro e di sinistra) tengono ben fuori gli interessi e le urgenze di un Paese che non avrebbe bisogno di eroi negativi ma di gente capace di governare. Ciò significa assumere nuove mentalità e formulare nuovi programmi, con un pensiero e una forza davvero rivoluzionaria che si chiama “cambiamento”, non quella sanguinaria bolscevica di cent’anni fa, ma quella culturale che paesi più civilizzati del nostro hanno attuato da decenni a nord del mondo.
Ma pensiamo alla nostra Varese, otto mesi di istanze, discussioni, progetti, decreti, editti, provvedimenti. È sicuramente presto per chiedere alla nuova Amministrazione quali siano i risultati, bisogna dare il tempo di vagliare le richieste, di seguire i piani di lavoro, il tempo di governare, insomma. Però abbiamo il dovere di vigilare sull’attuazione del programma elettorale. Vi sono stati tentativi di dissimulare il problema delle casse vuote, le complicazioni politiche legate alle beghe di questa o di quella conventicola, di questa o di quella casta, di questa o di quella associazione di categoria, ma qualche timido segnale circola, anche se magari un po’ distante dalle aspettative. I ventiquattro anni precedenti hanno conseguenze sul nuovo corso, creando difficoltà. Soffermiamoci su ciò di cui si parla sempre (anche a sproposito), tutti abbiamo bisogno dell’eroe cattivo, per “…l’orrida maestà nel fero aspetto/terrore accresce, e più superbo il rende…”.
In parole meno colte di quelle del Tasso, l’annoso problema di Piazza Repubblica.
Io qui porto la mia esperienza, e dico che basterebbe concentrarsi su una cosa sola importante e farla bene, il resto verrà da solo. Degrado chiama degrado, certo, e le condizioni di piazza non sono le migliori. Ma non credo si tratti solo della condizione di abbandono della caserma (in autunno vedremo che cosa succede), bensì di un contesto generale e soprattutto di una inciviltà che spesso si accompagna all’ignoranza delle persone, le quali, si badi, non sono solo gli extracomunitari, con cui volenti o nolenti ci si deve misurare, ma anche i nostri figli (bianchi e maleducati) che gettano per terra pacchetti di sigarette, mozziconi e bottiglie e pensano che sia sempre “qualcun altro” a dover pulire, senza la minima cognizione di che cosa sia un “bene comune”.
Lo dice uno che lavora (e vive) qui da vent’anni, a cui è capitato più volte di richiamare le persone che sporcavano a raccogliere quanto gettato a terra (in qualche caso rischiando addirittura l’incolumità personale). Ma gli idioti ci sono sempre stati da che esiste il mondo, e l’inurbamento, che privilegia le grosse colate di cemento rispetto ai giardini e ai prati dove fare giocare i ragazzi, non facilita il contesto. Ancora una volta il rispetto del vivere sociale spetta alla cultura delle cose, cioè al senso civico, mai insegnato a casa o mai fatto rispettare in una scuola “imbavagliata”, e centri nodali per la conoscenza delle regole sono la prevenzione e l’istruzione.
L’eccesso di democrazia, di buonismo, di progresso, ha portato a ignorare l’altro come importante interlocutore quotidiano. Ognuno fa quello che vuole, tanto sa che in Italia vige la legge della “impunità”. Da quanti anni non viene multata una persona che getta qualcosa per strada, che considera le nostre montagne come una discarica, o va davvero in galera chi spaccia? La civiltà non è un optional di una società per i suoi abitanti, ma un presidio irrinunciabile della convivenza multietnica, dove le regole devono valere per tutti, stranieri e no.
Quando sono approdato in questa città nel 1962 con la mia famiglia, come immigrato veneto, ho appreso subito che l’etica stava nella laboriosità, nel rispetto delle leggi, delle norme e delle tradizioni. Mi sono attenuto alle regole e sento oggi di far parte di questo territorio che difendo come se ci fossi nato, perché tutti dicono di amare la propria città, ma poi nessuno o quasi nessuno la sostiene. La scuola Augusto Righi, dove ho studiato alle medie, reca ancora oggi l’intonaco di cinquant’anni fa, ed è come dire ai nostri figli di buttare le carte delle caramelle fuori dall’auto, così non sporcano l’interno dell’abitacolo. Qui cultura e politica dovrebbero incontrarsi. Senza istruzione ed educazione non si progredisce. Senza la cultura non c’è amministrazione che tenga, neanche i nostri cenacoli privati e “borghesi” dove facciamo per il nostro puro piacere quella cultura che meglio ci aggrada, sapranno colmare le lacune del “pubblico”. Del resto quando un assessore alla Cultura rovescia le tasche e allarga le braccia, c’è poco da replicare. Forse dall’alto della sua esperienza politica dovrebbe sapere in quale stanza trovare i bottoni giusti, questo sì dovrebbe essere il suo mestiere. La vera rivoluzione sarebbe di investire nella cultura i fondi destinati invece all’urbanistica (tanto per citarne una, dato che non si dovrebbe più costruire da nessuna parte, semmai ristrutturare). E si abbia il coraggio di fare come fece Mantova, che allestì con “zero fondi” un Festival della letteratura che oggi rappresenta un volano economico di svariati milioni di euro, senza cedere al ricatto degli oneri urbanistici, che d’altra parte distruggono boschi e pinete e la cultura stessa della verde ecologia della mente.
Basta con forme barbare di saccheggio del territorio con più di 5000 abitazioni invendute (via Borghi) e sfitte ovunque (una città nella città), lasciando ferite eterne alla Città un tempo chiamata Giardino. E se è capitato che siamo passati con il rosso o l’arancione e non siamo stati fermati, questo non ci faccia pensare di subire una ingiustizia la volta in cui ci danno la multa, o se dobbiamo pagare un parcheggio e non funziona il parchimetro. Non siamo perfetti, solo le intenzioni lo sono. Ed è così che pensiamo che sia sempre di qualcun altro la responsabilità. In realtà delle nostre intemperanze e delle nostre trasgressioni siamo noi gli unici colpevoli. Devono essere i cittadini a fare vivere la città, già provata da una crisi economica durata dieci anni, e sia chiaro che responsabili delle scelte politiche non sono coloro che governano, ma coloro che eleggono i propri rappresentanti. Se questi non funzionano, si tolgono e se ne eleggono altri e così via all’infinito, perché per le maschere della politica (purtroppo) è sempre carnevale.
Gli spazi pubblici sono appannaggio di chi li vive, se restano vuoti ci cresce e “bivacca” la gramigna. Un esempio su tutti è la splendida pista di skate board che è frequentata da giovani sani a fianco degli spacciatori. Se la piazza Repubblica fosse vissuta dai varesini, la mala erba dovrebbe sloggiare, se tornasse il mercato, come un tempo, o tante altre presenze quotidiane, qualcosa cambierebbe, ne sono certo. Da più di vent’anni la piazza è come un vecchia signora ormai mummificata, con i segni del tempo, con le rughe sul viso di una Caserma che invoca ogni giorno il ritorno di Giuseppe Garibaldi, morto proprio il 2 giugno di tanti anni fa, e ironia della sorte, festa della Repubblica.
Io penso che la cultura debba giocare un ruolo centrale nel futuro della città. Il sindaco dice “gutta cavat lapidem”, mi ha confidato che presto aumenterà i fondi, io ho sussurrato che per far partire una nazione dopo l’ultima guerra è stato proprio costruire un teatro. Avrà pur voluto dire qualcosa, a guisa della Gerusalemme liberata: “Come infausta cometa il guardo splende”.
Gli credo, ma staremo a vedere.
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