Prevista dalle carte comunali è stata dichiarata aperta la caccia al brand, al marchio, a una peculiarità di Varese che in qualche misura ricordino al mondo intero che la piccola città delle Prealpi esiste, è accogliente e ci si può fare buoni affari.
Con il tempo i brand mutano, scompaiono. La Varese di inizio ‘900 era una città per nobili e ricchi d’Europa che vi trovavano aria buona, alberghi di lusso anche sulla montagna che domina la città e divertimenti come casinò e ippica.
Uno spettacolare sussulto di modernità, ma non tale da diventare un brand, fu la prima autostrada al mondo, la Milano-Varese, progettata e realizzata dall’ingegner Puricelli di Lomnago nel 1924; appena qualche anno dopo il brand mondiale di Varese c’era, rappresentato dai cavalieri del cielo, piloti e progettisti audaci che davano al nostro Paese, grazie al lavoro collettivo di gente operosa e intelligente, una indiscutibile superiorità aereonautica.
Terra pure di ciclisti, Ganna e Binda le star, nel ‘900 Varese accostò per imprese e fama le due ruote alle eliche.
Dopo le bastonate prese per le follie nazifasciste ecco Varese nel Dopoguerra sostituire al decrepito brand alberghiero, sempre a disposizione dei fannulloni di professione, una buona ripresa industriale e altre eclatanti imprese sportive come quelle dei leggendari canottieri dell’ “otto”, campioni europei e pure assi storicamente imbattuti della forchetta, capaci di mettere in difficoltà un macellaio che li aveva sfidati a mangiarsi un quarto di bue. Cosa che Fioretti e amici fecero in tutta tranquillità.
L’Alfredo Binda, che fu campionissimo anche come guida della nazionale italiana, proprio negli anni della gestazione di un altro futuro leggendario brand sportivo -la Pallacanestro Varese- e ancora l’Aeronautica Macchi dell’ingegner Ermanno Bazzocchi, più l’astro sorgente dei frigoriferi Giovanni Borghi e gli imperatori delle calzature, Ermenegildo Trolli ed eredi, ciascuno per la sua parte diedero vita a un trentennio di secolo irripetibile per la nostra città, diventata un vero concentrato di brand.
Dopo le vacche grasse la vita riserva quelle magre, che per Varese sono state un vivacchiare senza sussulti, senza le opere pubbliche attese da anni, insomma il grigiore di una gestione indubbiamente onesta, ma senza lampi, di luce e di genio. Ovvero il dominio delle illusioni, quelle leghiste. Che fu ovviamente senza brand.
Criticare è facile, molto meno lo è proporre soluzioni dei problemi. Vedremo che cosa caveranno fuori dal cilindro i maghi della comunicazione, i venditori di brand. Scomodati a colpi di dobloni dalla nuova giunta comunale.
Il problema di una Varese depressa esiste, non ci sono dubbi ed è assolutamente urgente affrontarlo e venirne a capo.
Potrebbe essere una attrattiva, forse un eccellente brand, la recente richiesta della settimana corta in alcune scuole superiori: pare che la sostengano pure delle famiglie.
Frequentare di meno la scuola sarebbe una scelta veramente azzeccata dopo che si è saputo che nella Repubblica è scattato l’allarme: i giovani non conoscono bene l’italiano. Varese è già una città europea grazie a Ispra e alla specifica scuola creata in città per stranieri e residenti.
Che da noi si diventi assi nello scrivere e nel parlare male l’italiano non sarebbe un male se creassimo un patois fatto di eurolingue e per essere avanguardia, pure di parlate africane e medio orientali
Brand è un termine anglosassone, se ci aggiungiamo la vocale a assume in italiano un significato diverso eppure tanto d’attualità a Varese. Infatti in branda, a farsi tonificanti riposini tra un tubo e l’altro appena fatti, non è una mia maldicenza: lo trovo regolarmente scritto in qualsiasi articolo che parli della Varese della Seconda Repubblica.
Il termine branda non è per niente attrattivo per una società che ha il lavoro nel suo dna, ma noi da tempo lo accostiamo alla gestione all’ ospedale di Circolo dove, sempre gli amici del Centrodestra rimangiandosi precedenti decisioni ufficiali, hanno fatto sparire 200 posti letto. Infliggendo così anni di disagi e sofferenze ai varesini che chiedevano di essere curati e ricoverati nell’ospedale di casa.
La branda come ammonimento ai varesini o come semplice richiamo ai senza memoria della Lega e agli ex rosarianti della disciolta comunione e lottizzazione sicuramente ci potrebbe stare quando si andrà a votare per le regionali. Sempre che nel frattempo tutti noi, compresi veri o fasulli politici, non ci si sia dimenticati di un brand che ha una grande storia nella piccola città delle Prealpi lombarde: quello di una quasi secolare (1911) avanguardia ospedaliera.
Agevolato dal dono di accoglienti brandine pret –à- durmì, il clan formigoniano anni fa convinse parecchi lumbard di essere stato toccato dalla grazia e di avere in tasca la ricetta per un ulteriore balzo in avanti.
C’è stata invece una devastante retromarcia per tutti noi, ovviamente con l’eccezione di quelli del clan.
Il primo brand da conseguire è allora la restituzione alla città di un Centrodestra all’altezza della sua tradizione e la tranquilla possibilità al Centrosinistra di farsi valutare come forza di governo. Due imprese al momento non facili, ma dobbiamo riuscirci senza aiuti esterni di nuove presenze sul mercato politico. I miracoli politici in Italia non sono possibili.
Lo dice la storia di casa nostra. E i telegiornali lo ricordano ogni sera a milioni di italiani. Nostri fratelli nel bidone. Bidone? Ecco il brand nazionale! Dedicato a chi si lamentava della Prima Repubblica.
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