Il dottor Christian Campiotti fa avanti-indré all’Istituto Molina riprendendo prima e riabbandonando poi la sua carica di presidente. Il ritorno di una settimana fa era stato un po’ spettacolare: breve corteo, lancio di palloncini colorati, qualche messaggio di benvenuto tracciato in fretta su lenzuoli. Pare mancasse soltanto l’accompagnamento delle maestose note verdiane della marcia trionfale dell’Aida. Del resto un poco di clima gioioso non fa mai male e possiamo dire che il festeggiato ne avesse quasi diritto dopo mesi di umane sofferenze.
Il Tar gli aveva dato ragione, sia pure provvisoriamente, ma il successivo pronunciamento del Consiglio di Stato su richiesta dell’Ats Insubria gli è risultato sfavorevole. Si attendono nuovi sviluppi in una vicenda sempre più complicata e sorprendente.
La posizione del Campiotti rivendicante l’autonomia gestionale dell’ente trasformato in Fondazione privata è stata da sempre sostenuta anche dalla Federazione delle case di riposo che aveva subito salutato con favore il pronunciamento del Tribunale Lombardo. Il quale aveva sottolineato i limiti delle argomentazioni della Agenzia Tutela della Salute (Ats cioè l’ex Asl) a sostegno del commissariamento. Giudizio ribaltato dal presidente della terza sezione del Consiglio di Stato Franco Frattini in attesa dell’udienza collegiale prevista il 16 marzo. Nel frattempo Campiotti ha contestato il provvedimento, annunciato un esposto e avanzato istanza formale di ricusazione di Frattini.
Da queste pagine avevamo lasciato la telenovela Molina già nel settembre/ottobre dello scorso anno quando lo scontro politico era assai evidente paventando che la diatriba continuasse cambiando solo il campo di gioco, da Varese a Milano Regione e auspicando che il nostro istituto geriatrico non dovesse soffrirne. Ma lo scontro politico è continuato. Anzi si è inacidito. Soprattutto per il costante tentativo di Forza Italia e Lega Nord di recuperare un ruolo a seguito della sfiducia dei loro delegati nel Consiglio del Molina.
Il tutto s’era iniziato già in campagna elettorale amministrativa per eleggere sindaco e consiglio comunale di Varese. A seguito di uno scontro di bassa cucina tra epigoni del centro destra, sfaldatisi in gruppetti di civici e meno civici, cominciarono a uscire spifferi sulla gestione della Fondazione. Finanziamenti ad amici del Presidente operanti nell’ambito di una rete televisiva locale. È lecito pensare da chi provenissero queste informazioni, cioè dall’interno del consiglio di amministrazione del Molina stesso dove sedevano (sono ritornate e torneranno a non sedere) persone delegate da Forza Italia, residui di centrismo cattolico e Lega Nord, tutti nominati dall’ex sindaco leghista Attilio Fontana. L’occasione propizia pareva quella di dover contrastare temute segrete alleanze tra il candidato del centrosinistra Galimberti e un gruppo di civici del centro destra.
Finito lo scontro elettorale con la sconfitta del ventennale predominio leghista iniziò da parte di FI e della stessa Lega varesina una martellante richiesta al sindaco Galimberti di pronunciarsi sulla reale gestione della Fondazione. Cosa che il sindaco non fece mai, ritenendosi il meno titolato, lasciando anche dell’ amaro in bocca a quanti si aspettavano una parola di personale preoccupazione per come si presumeva andassero le cose al Molina, vera e propria Istituzione sempre nel cuore dei cittadini di Varese.
Il vigile interesse del consiglio comunale fu comunque rappresentato dal fatto che ben 22 consiglieri di ogni gruppo sottoscrissero la richiesta del consigliere Pd Fabrizio Mirabelli di sentire direttamente in aula il presidente del Molina, che clamorosamente si sottrasse all’invito. Si fece avanti la Regione Lombardia che volle sapere come andavano le cose in virtù degli otto milioni di euro che annualmente versa alla Fondazione per contribuire ai costi di gestione e per mitigare le rette degli assistiti.
Commissioni, rinvii, nuovi incontri tutti evitati dal presidente Campiotti che continuava e continua a sostenere la propria autonomia gestionale e l’inopportunità di rendere pubbliche notizie dell’Ente, ritenendo il tutto frutto di una manovra politica ai suoi danni.
Bella gatta da pelare per i vertici della Ats ex Asl incaricati di dirimere una vicenda che mai si era presentata ai loro compiti. Tanto da richiedere il parere di legali esterni prima di procedere al commissariamento della Fondazione mandando a casa i legittimi amministratori. Un provvedimento grave congelato dal Tar perché non supportato da argomenti ritenuti convincenti, accuse limitate ai prestiti di denaro che con l’avallo a posteriori del consiglio il presidente del Molina avrebbe concesso in due o tre occasioni ad amici forse con eccessivo spirito di liberalità.
Nel frattempo per almeno tre mesi ha gestito l’Istituto come commissario il dottor Carmine Pallino, un professionista milanese vicino al presidente della Regione Roberto Maroni e per questo visto subito con una certa diffidenza. Certamente verremo a sapere che cosa ha scoperto e fatto durante la sua permanenza a Varese prima e dopo il suo andare e venire.
Si è parlato molto dello statuto dell’ente. Era trapelato che avesse avuto sostanziali modifiche da parte dell’amministrazione Campiotti o del Commissario. Una copia aggiornata pareva introvabile anche per gli addetti ai lavori. Rinvenuto il misterioso documento, risulta che il 4 settembre del 2015 il notaio Ignazio Leotta ha controfirmato insieme al presidente Campiotti una copia conforme all’originale di un nuovo Statuto. Confrontato col precedente atto del 2011 della presidenza di Guido Ermolli non risultano modifiche sostanziali tranne la abolizione della figura e delle attribuzioni del Direttore Generale le cui funzioni sono state in gran parte assunte dal Presidente. Immutato il resto e in particolare la titolarità del sindaco di Varese di nominare sia il consiglio di amministrazione sia il sindaco revisore della Fondazione. Cosa non di poco conto e tale da allontanare dubbi e sospetti.
Non risulta che dette modifiche statutarie siano state sottoposte alla approvazione della Regione come nel passato. Il presidente Campiotti lo ha ritenuto inutile o atto non più dovuto? E il presidente Maroni sapeva, non sapeva o ha preferito non sollevare il problema? Un fatto questo non di poco conto che, chiarito, avrà sicuramente qualche risvolto politico.
Un bel pasticcio, un presidente di una Fondazione che difende in modo deciso quelli che ritiene i suoi diritti, un ente regionale, l’Ats, che con scarse argomentazioni procede a commissariamenti, un Presidente della Regione che sa o non sa. E d’altra parte Forza Italia e Lega varesina sempre più impegnate nel tentativo di riconquistare una illibatezza compromessa dal tardivo defenestramento dei loro rappresentanti nel cda del Molina sempre compatti a fianco del presidente.
Si poteva evitare tutto questo? A nostro parere, decisamente sì. Sarebbe bastato che il dottor Campiotti avesse accettato fin dall’inizio l’invito a presentarsi davanti al consiglio comunale di Varese. Pur senza rivelare notizie sensibili della gestione dell’ente, pur confermando il suo convinto diritto alla assoluta autonomia della gestione, senza tutele superiori trattandosi di Fondazione di diritto privato. Appunto, sarebbe bastato, e fine della telenovela. Che invece è continuata, sempre più ricca di personaggi, con perdite di tempo e di denaro pubblico. Anche durante la gestione commissariale del dottor Pallino. E non c’è cenno che si vada verso il termine.
Rimarranno le polemiche circa le accuse sui soldi del Molina concessi in prestito agli amici e il succedersi degli scontri fra i contendenti della vecchia destra cattolica. Del resto lo stesso dottor Campiotti ha più volte richiamato l’aspetto politico di tutta la questione pur intendendo separarsi da esso. Attendiamoci nuovi sviluppi e non di poco conto.
Col nostro rinnovato invito a non danneggiare la Fondazione e soprattutto a non discostarsi dal suo scopo sociale, avendo come stella polare, sempre, il miglior servizio per gli assistiti e si confermi un bel fiore all’occhiello della città di Varese.
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