Il termine post-verità è piombato nel linguaggio quotidiano quasi all’improvviso: correva l’anno 2016. Se ho bene inteso, post-verità sta a indicare il fenomeno in base al quale frottole grandi e piccole diventano vere. Frottole in giro ce ne sono sempre state; ma nel nostro tempo, quello della comunicazione digitale, caratterizzato da una grande velocità di circolazione delle informazioni, nel web immenso e caotico, questa versione della verità, preceduta da un “post”, cioè da un “dopo”, mi lascia spiazzata e perplessa.
Noi donne e uomini del Novecento siamo cresciuti con un concetto di verità senza aggettivi. Qualcuno aggiungendovi la maiuscola e trasformandola in “Verità”; qualcun altro trattandola, la verità, così, nuda e cruda, senza aggettivi.
Ma ecco le classiche frottole diventare le ben più nobili “fake news”, fondate su un modello sviluppatosi con il capitalismo digitale, che favorisce la diffusione di notizie false, rese vere da quanti più riconoscimenti si ottengono in rete.
Più click, più verità. Non importano né la provenienza delle fonti né l’autorevolezza di chi ha inserito la notizia in rete. A stabilire la verità è il popolo della rete con i suoi “mi piace”.
Le fake news traggono alimento dai sentimenti di ansia e dall’allarmismo: sarà proprio così, se lo hanno scritto! Le frottole generano caos e paura, minano la coesione sociale. Perché in un’epoca di incertezza generalizzata le conseguenze reali di notizie false possono essere gravi. Come le bufale che imperversano su temi scientifici e medici, con le presunte cure di ciarlatani, guru e santoni, con le informazioni gettate nel web dai promotori delle campagne anti vaccino, dai creatori di leggende metropolitane. Per non parlare delle post verità che hanno condizionato la campagna elettorale americana, con la Clinton bersagliata da accuse spesso infondate.
La post-verità imperversa: non c’è esperto che possa farvi fronte, ormai. All’interno della rete funziona alla grande il parere della gente comune: l’uomo della strada, fattosi virtuale, ha trovato la sua rivincita sul “professore”. Le sue chiacchiere e le sue affermazioni, nel volgere di poche ore, diventano verità; le convinzioni da bar superano la realtà, si guadagnano il bollino della verità, quella post, appunto.
Internet ci sta abituando a considerare la nostra opinione pertinente e importante, anche quando non lo è. Ci ha regalato l’illusione di poter disquisire su tutto anche in assenza di competenze reali. È vero che oggi siamo più informati di ieri: notizie vere e meno vere, spesso uscite da siti non istituzionali, raggiungono vette di diffusione insperate.
Post verità: il neologismo è stato accolto nelle pagine del prestigioso Oxford Dictionary come parola dell’anno 2016. Ogni 12 mesi la bibbia della lingua inglese sentenzia: ecco il termine nuovo, quello che ci dà la misura del mondo che cambia. La parola composta, “post- truth”, in italiano “post-verità”, ci racconta che esiste chi dice anche il falso, o una mezza verità, considerando un optional la differenza tra ciò che è vero e ciò che non lo è.
Lascio ai filosofi le dissertazioni sulla verità e sulla post verità. A me restano i dubbi: più leggo e più approfondisco, meno afferro il senso di questo concetto. Qualche linguista, per facilitare la comprensione a quelli come me, suggerisce almeno due sinonimi di post: un “quasi” e un “all’incirca”, ovvero una trasformazione del precedente concetto in una sua versione più attuale.
Lo ammetto: a me serve del tempo per aggiornare il mio dizionario interiore, più di quanto me ne sia servito per accogliere nell’immaginario linguistico i termini “post-moderno” e “post-democratico”.
You must be logged in to post a comment Login