Chi lo sa se a lui sarebbe piaciuto saperlo, forse sì: alcuni monarchici del professor Giovanni Bertolé Viale, cui è stata intitolata l’Associazione mazziniana di Varese, dicevano che era il più monarchico dei repubblicani.
La ragione è presto spiegata: pur trovandosi su fronti del tutto contrapposti dal punto di vista del governo e delle scelte istituzionali per il paese, identici erano i valori risorgimentali di riferimento e di libertà, l’amor patrio; e dunque grande il rispetto per l’onestà intellettuale, l’ardore delle idee, la serietà. Cose d’altri tempi.
Da ormai anziano ed ex alunno del liceo-ginnasio “Ernesto Cairoli” di Varese, devo dire di non avere mai avuto il professor Giovanni Bertolé Viale tra i miei diretti insegnanti di latino e di greco. E tuttavia nessuno che sia passato in quelle aule e lungo quegli austeri corridoi può fare a meno di ricordarlo come un personaggio imprescindibile della scuola, insieme con altri docenti “storici” e indimenticabili degli anni Sessanta, il professor Bruno Mainetti, il professor Raimondo Malgaroli, il preside Felice Bolgeri, che si ergevano per sapienza e umanità, per cultura e disponibilità. Dunque, anche in quelli che di primo acchito potevano sembrare imitabili manie e difetti, come la bassa statura, la sigaretta sempre accesa tra le dita, la voce chiara e l’inconfondibile accento romanesco. Tutto diventava parte del personaggio. Come la forza dell’ironia, la capacità di sapere agganciare l’attenzione dei giovani allievi su ogni argomento che si trovasse ad affrontare: da una lezione estemporanea sull’uso di certi modi di dire della lingua italiana alla commemorazione, trasmessa dall’ufficio di presidenza e diffusa nelle aule dagli altoparlanti, di illustri eroi del nostro passato, Mazzini, naturalmente, Giuseppe Garibaldi, Cesare Battisti, Guglielmo Oberdan, per esempio, che il professor Bertolé Viale, fedele alle proprie origini romane, pronunciava con due “b”, Obberdan, suscitando il sorriso, ma sempre il rispetto e mai la noia.
E come quell’altra volta in cui, entrando in una classe non sua per un’ora di supplenza di letteratura italiana, si produsse in un esilarante – ma pieno di significati – siparietto di come si dovesse scrivere e parlare correttamente. Diffidate, insegnava il professor Bertolé Viale, di coloro i quali per dire che il pesce costa di meno, dicono invece che si sta registrando una flessione dei prezzi sul mercato ittico…
Qualche anno più tardi – finiti i miei anni al liceo – ritrovai il professor Bertolé Viale, che pure era entrato nella categoria dei docenti a riposo, al giornale locale – la Prealpina – di cui io ero giovane cronista e lui collaboratore di punta della pagina culturale. Dove ogni due settimane teneva una rubrica consegnando un diario di vicende politiche locali e no. Era uno dei primi pezzi che mi mettevo a leggere: l’articolo era scritto in rima e con una versificazione elegante, curiosa, segno di una grande cultura e di un modo sereno e non polemico o astioso di affrontare la vita.
Il professore veniva di persona al giornale. Il cappotto grigio, una vecchia borsa sottobraccio, il cappello che si toglieva appena entrava in redazione e l’immancabile sigaretta. Ricordo il distintivo che aveva sempre nell’occhiello dell’abito: il tondino a fondo blu con il disegno in rilievo dell’elmetto, a prova dell’appartenenza all’Associazione dei combattenti e reduci e della sua storia vissuta di ufficiale nell’esercito italiano.
Era, anche in questo caso, l’insegnamento semplice di uomo di profonde convinzioni repubblicane ma anche di un uomo d’onore, che in nessun modo avrebbe potuto sottrarsi al servizio della Patria. Quando questa parola si scriveva ancora con la “P” maiuscola.
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