Clik clak clak, scarponi chiusi, casco allacciato, mascherina abbassata: pronti via, sulla magica neve del Trentino, splendidamente lavorata da cannoni e battipista. La fatica più grande è caricarsi gli sci sulle spalle tra posteggio e funivia: il resto è tutto divertimento.
Ma il piacere, la bellezza, te li devi in qualche modo conquistare, no? L’ho imparato proprio sulla neve, questo.
Al tempo dei miei 15 anni, sciare era un’impresa. Se eri principiante, il campetto te lo dovevi battere tu, con i tuoi begli sci, in su e in giù, a destra e a sinistra, e una breve discesa traballante era il premio di una serie innumerevole di risalite “a scaletta”. Sci di legno, lunghi almeno mezzo metro in più della tua altezza: te li facevano scegliere alzando il braccio in alto, alla seconda falange delle dita, lì era il punto giusto. Attacchi a molla, tipo trappola per topi, che imprigionavano la punta dello scarpone (il massimo della sicurezza); cinghietta legata alla caviglia per non perdere l’attrezzo ma garantire storte alla caviglia; scarponi di pelle doppia o tripla, con la linguetta e, ovviamente, con l’allacciatura a stringhe. E quindi, indispensabile attrezzo di complemento, il tirastringhe, in realtà un comune uncino metallico con impugnatura in legno, utilissimo anche per i pattini da ghiaccio. Ma guai a dimenticarlo! Non si scia con gli scarponi allentati…
L’operazione richiedeva tempo e collusione con un compagno sciatore: si deve partire dall’ultima allacciatura per arrivare via via, in un crescendo di tira e molla, fino alla caviglia. Un colpetto col tirastringhe al centro, una tirata di stringa sinistra, altro colpetto al centro e tirata a destra… E togli i guanti che danno noia, ma le dita gelate non hanno presa, allora rimetti i guanti e chiedi al vicino di tenerti il laccio ben teso, che magari ce la faccio. Dai tira, no lascia faccio io, va beh provaci tu che sei un uomo (!). Dopo un bel quarto d’ora, quando il piede non lo sentivi più, le dita ormai congelate erano ben strette nella morsa, e il sospirato nodo – doppio – era fatto, allora eri pronto.
Crampi a parte, riuscivamo anche a divertirci.
Ma chi te lo fa fare? dicevano i miei.
Magari il gusto della conquista.
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