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Opinioni

UN’IDEA DI MONDO

FELICE MAGNANI - 10/02/2017

???????????????????????????????Credo che il più grande desiderio oggi sia quello di ritrovare un minimo di tranquillità, di poterci alzare al mattino con la gioia di vivere un nuovo giorno, di poter finalmente guardare negli occhi il nostro prossimo senza temerlo, ma con la certezza che stiamo lavorando insieme per costruire una società più giusta e più solidale.

Ricomporre? Ne vale la pena. Vale la pena soprattutto toglierci di dosso quegli pseudo-valori che ci hanno torturato, rendendoci la vita impossibile e ricostruire un piano comune, in cui ciascuno si senta realmente valorizzato e realizzato. Ogni uomo sente la necessità di essere amato e di amare, è in questa direzione che deve procedere la riconversione, è in questa direzione che la vita umana trova in se stessa la fonte di ogni meraviglia. C’è una parte molto importante della cultura italiana che ci invita a rivisitare la nostra interiorità, il luogo più inaccessibile al mondo, ma anche quello in cui è ancora possibile attingere il senso della vita, quel senso che in molti casi sfugge, presi come siamo dalle ansie da prestazione.

Andare verso l’interno in una società che guarda quasi esclusivamente all’esterno non è impresa facile, perché gli intrighi di questi ultimi anni hanno cementificato diverse possibilità investigative erigendo muri, cortine, diffidenze, ipocrisie, invidie e altro. Certo un viaggio introspettivo è sicuramente foriero di novità inaspettate, ma occorre rompere il muro dell’ego, quel muro che viene sistematicamente eretto per confermare un primato.

Il nostro mondo vive di primati: il più bravo, il più intelligente, il più amato, il più temuto, il più bello, il più ricco, chi viaggia di più, chi mangia meglio e così via, la corsa è frenetica, ma in tutto questo ambaradan di giravolte esistenziali abbiamo perso di vista il nostro rapporto con il cielo o per dirla con un taglio un pochino più simile alla filosofia, con il sacro, con la sostanza spirituale, quella che per secoli ha avuto come obiettivo fondamentale il tema della conoscenza.

 Oggi di conoscenza come ambito tematico di natura filosofica si parla pochissimo, se ne parla poco in tutti i campi del sapere e soprattutto in quelli in cui ci sarebbe molto da dire e da imparare. Da ragazzini sentivamo spesso parlare di sacralità, eternità, spiritualità, interiorità, moralità, tutto avveniva a scuola, a catechismo, qualche volta in famiglia, insomma siamo cresciuti con il dubbio che qualcosa di più importante dentro e sopra di noi ci fosse. Succedeva che in qualche caso ci fermassimo ad ascoltare una voce che non sempre rispondeva a una chiamata formale. Era una voce che arrivava da dentro e che non si accontentava.

In molti casi creava scompiglio, metteva sottosopra una impalcatura già abbastanza solida, voleva delle risposte a cui non era facile rispondere. In molti casi ti lasciava in una dimensione onirica, in una ricerca che sconfinava nel vuoto cosmico, come succedeva al povero Leopardi.

Ma era bello, era bello e interessante. Entrare nel mondo metafisico e un po’ anche teologico in senso largo metteva le ali e in qualche caso però metteva il cuore e la mente in una condizione di stallo, di ansiosa attesa di verità che nella maggior parte dei casi non trovavano conforto nella vita quotidiana. Il senso della sacralità accompagnava alcuni dei nostri comportamenti quotidiani, era una sorta di freno che ci consentiva di affrontare meglio il mondo che ci stava di fronte, quello che in molti casi era sottoposto alla nostra natura caratteriale, alla sua voglia di ribellione, di trasgressione, di voler dimostrare a tutti i costi che il bello doveva ancora venire.

Riconoscere il principio della sacralità ci dava l’impressione che il mondo fosse molto più grande di quanto lo immaginassimo e più importante, ci sentivamo partecipi di una grande avventura, capivamo di avere un ruolo, una collocazione, dei rapporti, degli impegni e dei doveri che ci impedivano di compiere azioni assurde. La famiglia era sacra, l’amicizia era sacra, l’educazione portava i segni di una sacralità quasi religiosa, perché la religione era sopra tutto, era il segno tangibile degli spazi che governavano la nostra vita, quella presenza in cui trovava conforto il nostro desiderio di uscire dal mondo della quotidianità per incontrare quello magico e un po’ misterioso dell’infinito di leopardiana memoria e magari qualcosa di più.

Riflettere sull’infinito, sull’idea di mondo, investigare oltre l’umano, accostarsi in punta di piedi all’immagine di Cristo era come possedere la quasi certezza che il nostro mondo fosse più grande, più importante, più vero, più interessante.

L’idea che l’amore non fosse un ambito ristretto ci lasciava nello stato ebbro di chi sa che non finirà, che potrai rivedere i tuoi cari sempre e che la seconda vita sarebbe stata ancora più bella, più dolce, più intensa della prima. Anche per questo amavamo Francesco d’Assisi, la sua capacità di ascendere dimostrando la forza persuasiva dell’essere. Francesco era l’immagine dell’uomo che si ribellava ai richiami del materialismo, che ridava un nuovo senso alla vita grazie al fiorire di una meravigliosa spiritualità. Voleva essere più leggero, meno vincolato, voleva amare in una forma assoluta, quella che piace immensamente ai giovani, contrari a ogni forma di condizionamento. Con lui abbiamo scoperto la sacralità della natura, la bellezza di viverla e di coglierla in tutte le sue estensioni. L’eternità invece ci spaventava e ci incuriosiva, la fuggivamo per poi riprenderla e leggerla come si legge qualcosa di troppo grande da vivere e da pensare.

Quando il catechista parlava di vita eterna era come se all’improvviso si aprisse un varco e ti rendessi conto che non tutto era come avevi pensato, che c’era qualcosa di molto riservato che si allungava sul nostro orizzonte. Paura? No, ansia da scoperta. Imparavamo a stare al mondo sperimentando, senza distogliere lo sguardo dalla florida morbidezza di un campo, dalla flessuosa accondiscendenza dei salici, dai baffi rivolti all’insù di un nonno dolce e affettuoso, dallo spazio odoroso di una natura colorata e sfumata di trifogli, dalla voglia di tuffarci sistematicamente nel mondo della bellezza che ci girava attorno.

Quante prediche, quanti pensieri, quante ricerche. La ricerca stimolava la voglia di concorrere all’investigazione di un mondo che non finiva mai di stupire. Con la ricerca abbiamo viaggiato scoprendo una parte di noi negli altri, cercando di dare un senso ai nostri perché, alla nostra voglia di conoscenza e di presenza. Ci siamo spinti sempre un po’ più avanti, inseguendo una verità che mostrava strada facendo le sue contraddizioni. Abbiamo assaporato la bellezza soffrendola e contemplandola, come fa un bambino quando si stupisce di fronte a qualcosa che non riconosce, ma che ammira.

Oggi lo stupore è sempre meno influente. Il consumismo si è portato via molto, lasciando sul campo scampoli di verità confusi nella polvere del consumismo. Ricomporre può essere forse la via, l’unica che possa riuscire rimettere insieme parti di una natura che ha perso di vista la bellezza e l’unicità del suo mondo interiore.

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