Di tentativi ricostituenti della sinistra, negli ultimi vent’anni se ne sono visti tanti ma, bisogna ammetterlo, gli esiti non sono stati esaltanti.
Allora perché riprovare ancora? Perché il prossimo congresso di SINISTRA ITALIANA (Rimini, 17-19 febbraio) dovrebbe rappresentare un momento di svolta?
Domande legittime che si pongono gli stessi promotori della nuova formazione e le cui risposte sono tutt’altro che semplici o scontate. Comunque non basta una qualche dichiarazione d’intenti.
A mio parere le ragioni della sfida intrapresa e le sue stesse possibilità di successo, vanno collocate dentro la lunga crisi economica che da ormai un decennio domina la scena nazionale ed europea. Una crisi di cui non è stato colto in tempo né il suo carattere “strutturale”, né gli effetti devastanti che avrebbe prodotto sul piano sociale.
Per molti anni si è pensato che “la ripresa” fosse dietro l’angolo, si è sostenuto che destra e sinistra erano ormai reperti del passato, si è teorizzata l’inutilità dei partiti e delle organizzazioni di massa, ha trionfato la personalizzazione della politica e la sua riduzione a pura immagine. Ma la ripresa tanto attesa non si vede ancora oggi all’orizzonte, mentre il quadro politico e istituzionale si è gravemente deteriorato. Ecco allora l’allarme sempre più acuto sul pericolo del “populismo”, la malattia del terzo millennio della quale però nessuno appare esente. Intendiamoci si tratta di un pericolo reale, ma che per neutralizzare non bastano certo dei semplici esorcismi.
Occorre, invece, una svolta profonda nella cultura e nelle pratiche politico-istituzionali. Occorre ripartire dalla crisi ridefinendo progetti e programmi politici che sappiano fornire risposte convincenti e praticabili a chi improvvisamente si è ritrovato ai margini della società e a quanti, innanzitutto le nuove generazioni, si sentono ormai privati persino della speranza di futuro. Risposte che per essere credibili richiedono la messa in discussione del sistema di potere imposto a livello europeo e mondiale dai nuovi soggetti dominanti della finanza e, nello stesso tempo, la cancellazione delle politiche di “austerità” imposte dalla Commissione UE svuotando istituzioni e forze politiche dai ruoli e dalle funzioni che gli erano propri.
Ed è in questo mondo sempre più incerto e diseguale, in questa Europa sempre più fragile e impotente, in questa politica priva di anima e tutta incentrata su se stessa, che la sinistra può ritrovare le sue ragioni di fondo e la stessa possibilità di esistere. Non una sinistra autoreferenziale o ideologica, non una formazione tutta protesa alle dinamiche di potere o prigioniera di schemi elettoralistici, ma un soggetto nuovo, aperto e capace di formulare una proposta politica autonoma, capace di parlare a chi in questi anni è rimasto in campo senza lasciarsi incantare dalle sirene moderniste e, contemporaneamente, a quanti aspirano ad una politica in grado di “rappresentare” realmente le loro domande di vita e i loro bisogni sociali.
Il cammino non è facile, ma di fronte alla complessità della crisi ed ai suoi effetti devastanti, l’esistenza di una sinistra rinnovata è più che mai necessaria. Perché non c’è nessun altro che nel suo dna possieda i valori di uguaglianza e giustizia sociale. Valori antichi ma senza i quali non è neppure possibile immaginare una uscita democratica dalla crisi che stiamo vivendo.
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