Adrien Gontier, un ventiseienne di Strasburgo, ha scelto di vivere senza consumare olio di palma per un anno intero. La sua esperienza si concluderà nel luglio 2012.
Il giovane francese già da sette mesi non utilizza più nessun prodotto contenente quest’olio di origine vegetale, il cui massiccio impiego è responsabile di alterazioni dell’ecosistema, soprattutto nel Sudest asiatico e in Africa, a causa della scelta di convertire alla coltivazione di palma ampie zone di foresta pluviale o aree precedentemente destinate a produzioni agricole diversificate. Scelta che sta provocando anche un aumento delle emissioni di carbonio, in quanto il terreno viene preparato distruggendo col fuoco migliaia di ettari di foresta e drenando zone umide. A causa dell’estendersi della palma – e del maggior consumo di olio di palma in Occidente – l’Indonesia è entrata tra i primi cinque produttori al mondo di gas-serra e si stanno creando condizioni critiche per gli ecosistemi di Uganda e Costa d’Avorio.
L’impresa di Adrien Gontier non è da poco: l’olio di palma, materia grassa di costo molto limitato, si cela, dichiarato o non, in una buona metà dei prodotti venduti nelle catene commerciali di grande distribuzione, “food” e “non food”. Lo si trova in piatti pronti, surgelati, dolci, zuppe, minestre di legumi ma anche in shampoo, gel, crema da barba e deodoranti.
Un aspetto interessante è che il giovane francese – come ha dichiarato in un’intervista a Audrey Garric pubblicata su Le Monde, il 22 dicembre 2011 – a partire da questa impresa ha imparato a controllare i propri stili di consumo, a evitare o limitare i prodotti della grande distribuzione, a verificare l’origine degli alimenti, a scegliere ciò che è più semplice. Questo, come ha potuto sperimentare, senza sconvolgere la sua alimentazione e senza modificarne i costi. La questione si complica un po’ quando Adrien deve mangiare fuori casa. Ma questo lo ha portato a parlare con i ristoratori e a discutere di come preparano i piatti e dove si forniscono.
Del cambiamento di stile di vita fa parte il tempo da dedicare allo studio, preventivo e al momento degli acquisti, del significato delle etichette, e dei componenti dichiarati: “grassi vegetali”, “oli vegetali”, additivi quali “E304, E305, E471”, “laurisolfato di sodio” e così via (chi ne volesse sapere di più può consultare il blog di Adrien Gontier.
Al giornalista che gli chiedeva se questa sua impresa fosse “ascetica”, Gontier ha risposto di rendersi conto che è un’”esperienza estrema”. Alla domanda sull’ascesi, rimasta senza risposta, si può collegare una riflessione sull’insegnamento che ci offre un’altra “esperienza estrema”: la regola dei Minimi di San Francesco di Paola.
E’ il 1470 quando Paolo II manda un suo messo in Calabria per indagare sui costumi dell’eremita Francesco e dei suoi compagni. La sospetta eccesiva durezza del loro regime di vita e la stretta sugli ordini religiosi disposta dal Concilio Lateranense non impediscono al legato Baldassarre di Spigno di riferire positivamente al Papa e anzi di aiutare Francesco a dare un primo statuto scritto ai suoi: una proto-regola che avalla quel rigore, e prevede, in aggiunta ai voti di povertà, castità, obbedienza, la consuetudine della pratica quaresimale perpetua.
Sisto IV, asceso al soglio dopo Paolo II, riaprirà l’indagine, riconoscendo l’ordine mendicante; anche se la formalizzazione della Regola avverrà solo dopo molti anni, durante il soggiorno di Francesco di Paola in Francia, nel 1493, quando Alessandro VI con la bolla “Meritis religiosae vitae” l’approva nominando la congregazione “Ordine dei Minimi”. Ma da sempre, da quando il giovanissimo Francesco si era ritirato nelle grotte sul fiume Isca, lui e i suoi compagni si erano cibati in maniera austera, scegliendo pochi prodotti, principalmente erbe, legumi, pane. Recita la “Regola di vita dei frati dell’Ordine dei Minimi poveri eremiti di fra’ Francesco di Paola”: “i nostri alimenti, per tutta la nostra vita, saranno quaresimali, sia nei conventi e nel loro ambito, come anche fuori; a nessuno sarà lecito cibarsi, in qualsiasi modo o tempo, di carni, uova, formaggio o di latticini”. Scrive Giovanni Sole nel suo interessante saggio “Francesco di Paola. Il santo terribile come un leone” (Rubbettino, 2007): “Francesco viveva disinteressatamente, non chiedeva alcuna ricompensa, affrontava i sacrifici senza timore […] Per lui era superfluo ciò che per gli altri era necessario”.
Ecco, il punto sembra essere questo: la ridefinizione di ciò che ci è necessario. Per consapevole sottrazione, come lo sperimentatore francese. O sul modello di San Francesco di Paola, anche senza osservarne strettamente la Regola: ben consapevoli che, come disse il Messo papale, solo da un rustico, un “leone” come il paolano, e dai suoi, trascinati dall’esempio, poteva essere praticato il rigore di quelle astinenze. Ma la “sottrazione” è un impegno che può contrastare la perdita di senso nel consumo che, più o meno, modella in negativo la vita di ciascun cittadino dell’Occidente.
Gli stili di acquisto – basta perdere un po’ di tempo a osservare i nostri compagni di avventura tra le corsie di un supermercato e i loro carrelli alla Marcovaldo – segnalano spesso questa perdita di senso del consumatore che dissipa nel non realmente necessario le risorse sottratte al necessario. Dunque un nostro “modello quaresimale”, che laicamente potrebbe diventare un “modello di rinuncia al superfluo”, anche congegnato individualmente ma sottoposto a confronto e discussione con il nostro contesto familiare, sociale, comunitario, può essere un antidoto, una via d’uscita anticipata e più leggera rispetto a questioni epocali di cui non percepiamo ancora la profondità.
Francesco di Paola, a partire dalla credibilità dell’esistenza che lui e i suoi conducevano, poteva – osserva ancora Giovanni Sole – propugnare idee di giustizia ed equità e di uso legittimo del potere: “O prencipi spirituali e temporali, vergognatevi falsi Christiani che non attendete in altro se non ad assassinare li poveri […] lupi rapaci e famelici leoni, a non mai satiarvi de la robba de’ poveri acquistata di loro sudore, guai a vostre sciagurate anime” dettava in una sua lettera il Santo. Agire su se stessi in senso sottrattivo è una nobile azione politica: può essere l’incrocio tra necessaria interpretazione del “dominio” del genere umano sul creato (Genesi, I, 26) non in senso predatorio ma in senso conoscitivo, e riflessione laica sul razionale e rispettoso uso delle risorse naturali quale primo momento di una giustizia distributiva realmente attuata.
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