Nel 1817, esattamente 200 anni fa, l’Europa ed il Nord America venivano colpite da una terribile carestia. All’inizio del secolo una microglaciazione iniziata intorno al 1760 toccava il suo apice seminando povertà e miseria tra le genti che vivevano dei prodotti della propria terra ed in particolar modo nelle zone alpine e prealpine. Come ricorda Ivana Pederzani nel suo lavoro “I Dandolo. Dall’Italia dei Lumi al Risorgimento” il 1817 divenne “l’anno della patata” perché il tubero, il suo consumo, salvò dalla fame più feroce molte genti delle nostre valli e della pianura.
Ai tempi della sua scoperta in America, la patata era coltivata solo nelle zone centro meridionali del continente, nelle regioni andine occidentali (Bolivia, Perù, Cile e Colombia). Gli spagnoli conquistatori conobbero il tubero della famiglia delle solanacee (come i peperoni, i pomodori e le melanzane), in seguito alla conquista dell’impero degli Incas. Già presente come pianta esotica nell’Orto botanico dell’Università di Padova pochi anni dopo la scoperta, in Europa si manifestarono per decenni riserve culturali riguardo l’uso del tubero che si riteneva velenoso per la presenza di solanina come in altre piante tossiche come la belladonna e la dulcamara. Si aggiungeva il fatto non secondario che nelle campagne di tutta Europa era pratica del tutto anomala seminare dei tuberi. Il tubero originale venne via via selezionato geneticamente, migliorarono le caratteristiche organolettiche e di produttività: la sua coltivazione divenne conveniente. C’era chi, prima dell’inizio del secolo XIX, chimico e imprenditore, aveva sperimentato ed era quindi giunto preparato a quegli anni funesti culminati con la carestia del 1817.
È del 1810 la lettera che il conte e senatore Vincenzo Dandolo invia al Cavalier Filippo Re. In realtà si tratta di un resoconto molto dettagliato, ricco di dati circa la coltivazione del tubero in rapporto alla superficie coltivata a pomi di terra con la quantità da essa ottenutane in terreno coltivato in montagna nell’anno 1810. Appezzamenti in pertiche e raccolto in libbre vengono elencati specificando le rese nell’appezzamento peggiore (714 libbre per pertica) e quello migliore (2128 libbre per pertica) e quindi la produzione media di (1040 libbre per pertica) nelle sue proprietà “al Deserto” nel comune di Cuasso al Monte a nord di Varese. Il conte Dandolo, ebreo converso, farmacista, fuggito da Venezia dopo la caduta della Serenissima, aveva fissato la sua dimora a Varese, seguito da una piccola colonia di amici veneziani di matrice giacobina.
La lettera al cavalier Filippo Re aveva lo scopo di dimostrare che il pomo di terra “deve esser considerato uno de’ doni più preziosi che la Provvidenza far potesse all’uomo, ed al misero particolarmente, ch’Essa ha dotato questo ricco vegetale della facoltà di crescere ne’luoghi anche più sterili e spesso contrarj ad ogni altra utile coltivazione; che lo ha reso fecondo più di qualunque altro prodotto nutritivo; che lo ha premunito contro quelle calamità che distruggono in un istante le speranze del popolo come spesso qua e la veggiamo per le brine, le gragnuole, uragani, lunghe piogge ed altro; che l’ha destinato egualmente al nutrimento dell’uomo e delle bestie domestiche particolarmente in quei luoghi, e mesi in cui la terra nulla produce…”.
Vincenzo Dandolo continua la sua lettera con il Rapporto fra la spesa fatta nella coltura, per l’aratura, con il preciso dato dei giorni dedicati all’aratura e numero di aratri e relativo costo in lire di Milano. Segue il dettaglio per “condur letami” e la zappatura per la raccolta. “Il solo desiderio di animare i piccioli coltivatori o possessori di terre leggiere e tutti i montanari a tal coltivazione, m’indusse a limitarmi in questa lettera a parlare della coltivazione in montagna “…”. Il prodotto che ne ottengo in pianura non è men certo”. La forma mentale dell’ex farmacista veneziano, preciso, scientifico, arriva a calcolare anche per gli animali domestici il consumo giornaliero. “ … alle piccole vacche da montagna bastano libbre 10 di pomi di terra…la piccola pecora di montagna anch’essa vive benissimo con 2 libbre di pomi di terra e poche foglie di qualunque albero; che i giovani porci vi si allevano e s’ingrassano con 10 libbre ed attualmente io stesso ne ho tre che ingrossano e impinguano a vista d’occhio mangiando che 13 libbre il giorno”.
Produzione scarse di grani e la raccolta misera di castagne di quel 1810 avevano allertato i contadini della zona limitrofa di Cavagnano che con profitto avevano introdotto la coltivazione del tubero sotto la guida del Dandolo. Il conte darà modo di dimostrare la sua magnanimità negli anni più duri della carestia e donerà quantità di tuberi ai parroci di Varese perché ne facessero dono alle famiglie più povere e numerose.
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