“Ho letto il suo articolo e ho ricordato quando lei ci invitava a parlare chiaro!” mi dice, incontrandomi al supermercato, un mio alunno, ormai quarantenne. Colgo in questa espressione la richiesta di un giovane uomo a un adulto ormai attempato che ha una responsabilità di futuro nei confronti di chi è più giovane. È difficile trovare oggi qualcuno che sia contento della scuola. Si fanno, è vero, tanti progetti, si organizzano visite a musei, si assiste a spettacoli, si portano adolescenti in in giro per il mondo, ma non si insegna a parlar chiaro, a uscire dalla volgarità, dalla superficialità, dai manierismi (“perciò… dunque… allora… però…”) i quali non esprimono idee ma disagio, banalità, stupidità. Forse nella scuola bisognerebbe insegnare a parlare con chiarezza e a ascoltare senza interrompere l’interlocutore: in questo modo la scuola diventa anche palestra di democrazia. Comunicano, i ragazzi d’oggi, e la barzelletta diviene esempio della parola, ma non parlano, eppure ciò che caratterizza l’uomo è la parola che ha sempre bisogno di dialogo. La stessa democrazia vive di parole scambiate, di parole che stringono dibattiti che dovrebbero diventare leggi, regole, norme chiare. Solo la dittatura schiaccia la parola.
Un esempio di parlar chiaro ce lo offre Papa Francesco che, con la sua “parrhesìa” (dal greco: franchezza, libertà, audacia) con i gesti e con le parole, ripete la stessa Parola di Gesù di Nazareth, il quale innalzava il suo prezzo alto davanti ai potenti, ai peccatori, alle autorità politiche, ai sacerdoti del suo tempo. “Il Papa parla troppo”- mi sussurrava bisbigliando un cardinale di Santa Romana Chiesa. Non parla troppo, parla chiaro, come i profeti autentici!
La chiarezza di Papa Francesco non è frutto di una predilezione per una terminologia tratta dal “difficilese”. Non ricorre ad uno stile oscuro e non usa manierismi, non sfiora gli argomenti. Si esprime semplicemente e chiaramente per annunciare il Vangelo agli uomini di buona volontà d’oggi e gli ascoltatori si sentono interpellati, conservano la parola del Papa nel loro cuore, la meditano ed è sperabile che la mettano in pratica. La sua parola esprime sempre una visione di una chiesa “in uscita”. Vorrei far emergere il pensiero di Papa Francesco nella sua novità con alcune sue espressioni che ho raccolte pronunciate ultimamente in diverse occasioni.
Alle consacrate, il 2 febbraio scorso: “Non cedete alla tentazione della sopravvivenza… (essa) ci rende professionisti del sacro, non profeti di speranza”. Lo dice alle suore che sono tentate di “salvare le opere” (asili, scuole, ospedali, case di ricovero) costruite in tanti anni ed oggi, grazie allo stato sociale e a causa del secolarismo che intacca anche le vocazioni, sono ridotte – in alcuni casi – a custodire i beni materiali e a curare le loro sorelle anziane e malate.
Ai domenicani, che celebrano gli 800 anni dalla fondazione del loro ordine, raccomanda di “non perdersi nel carnevale mondano di una società ‘liquida’ e sbullonata”; mette in guardia i preti “dall’idolatria che non risparmia nemmeno gli uomini di Chiesa” e “dal clericalismo che disprezza la gente e rende ipocriti”, confessa di “essere allergico ai ‘lecca-calze’, chiedo grazia e umorismo” e dichiara ancora una volta “tolleranza zero per gli abusi del clero sui minori”. Papa Francesco, che proviene dalle periferie del mondo e dalla chiesa che ha riscoperto l’opzione preferenziale per i poveri, è abilitato a parlare così: una chiesa povera – pur avendo i mezzi per vivere nel mondo – non mondana, non al servizio dei potenti e occasione di carrierismo. Sa Papa Francesco che la tentazione del trionfalismo paralizza la chiesa.
Ai fedeli raccomanda di “non essere cristiani da salotto, rigoristi, pappagalli o pigri” e combatte il conservatorismo: “non siate cristiani parcheggiati che vivono nel frigo perché tutto rimanga così”. Agli operatori pastorali affida “la parrocchia dove non si chiacchiera… perché così sarà perfetta” e propone lo stile pastorale sobrio, intessuto di preghiera, di ascolto, di contemplazione, di amicizia e di silenzio:” No a una religione dello spettacolo che insegue fuochi d’artificio”.
Ma il suo pensiero ricorre sempre ai più poveri, agli emarginati, ai feriti nel cuore, ai migranti e ai profughi. “È disumano scartare le persone in nome del capitalismo”. “Non è umano chiudere le porte ai migranti. Politicamente poi si paga”, “Il Dio-danaro alimenta il terrorismo. I migranti diventano la bancarotta dell’umanità”. Sono parole profetiche che vogliono risvegliare nella coscienza occidentale, soprattutto europea, vergogna e indignazione perché vedono il diverso e il povero con lo schermo dei pregiudizi, delle etichette, delle credenze, della paura.
In una intervista a “Civiltà Cattolica”, Papa Francesco non teme di confessare che “Manca la grande politica, è degradata in piccola politica” e mette in guardia contro il pericolo dell’uomo solo al comando”. Quando chi comanda è più importante del popolo, l’armonia sociale è in pericolo” perché le tendenze isolazionistiche, nazionalistiche e razziste mirano all’espulsione dell’altro e a un ideale regressivo di autoisolamento, di essere bastanti a se stessi.
Di recente ha tenuto un discorso storico ai partecipanti al convegno di “economia di comunione”. È un discorso tutto da meditare. Ci limitiamo a sottolineare questa denuncia del papa:” Il giorno in cui le imprese di armi finanzieranno ospedali per curare i bambini mutilati dalle loro bombe, il sistema avrà raggiunto il suo culmine”.
In occasione della festa del loro santo patrono, S. Francesco di Sales, ne ha anche per gli operatori della comunicazione:” Non macinate zizzania. Il male spettacolarizzato anestetizza le coscienze”.
I soliti benpensanti accusano il Papa di negare il culto sacro e di voler secolarizzare la Chiesa. Sono i nostalgici che confondono il “culto”, fatto di riti e rituali, di rubriche, con la “liturgia”, che è la continuità tra la fede e la vita. Quella di questo mondo e di questo tempo.
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