L’ironia sull’Europa a due velocità che piacerebbe alla Merkel è un colpo di freno al realismo. Che cos’ha detto la cancelliera di così scorretto da indurre al sarcastico? Ha spiegato che l’Ue così non va, che i tedeschi per primi facciano autocritica, che il futuro va improntato a uno scarto di ritmo per evitare che s’impianti la macchina sui viaggiano passeggeri di ventisette Paesi e dalla quale scendere in corsa significherebbe finire nel burrone. Come da cartello di pericolo innalzato da Mario Draghi.
Quali velocità, per essere precisi? La prima: procedere in compagnia della moneta unica e seguire la mappa di Schengen, altrimenti la sbandata è sicura. La seconda: fatta salva l’integrazione dell’Europa, dar retta alle preoccupazioni degli europei. Esse riguardano: 1) la crescita economica; 2) l’immigrazione: 3) la lotta al terrorismo. Ovvero: arricchire l’internazionalità che s’è scelto da ormai molti anni il Continente, non impoverire le nazionalità.
È una marcia indietro? Sembrerebbe un passo avanti. L’unico possibile, di fronte al dilagare della marea populista/sfascista. Tener fermo il timone della nave, ascoltare le richieste di chi vi sta a bordo. Si sarebbe dovuta dare una mossa un po’ di tempo fa, la Merkel? Se la sarebbe dovuta dare, vincendo la lentezza. E con lei, altri. Ma meglio ora che mai (benvenuto quello che i tedeschi chiamano wechselstimmung, cambio d’umore), posto che si è a due mesi dalle elezioni francesi (23 aprile il primo turno, 7 maggio il secondo) il cui verdetto segnerà il destino degli europei, oltre che dei blues. Se la Le Pen convince la moltitudine all’idea della Frexit, crollerà il castello del quale si celebra il 25 marzo prossimo (sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma) la costruzione delle mura. Che ne resterà? Rovine, fumi, miseria. Peggiori delle rovine, dei fumi, della miseria già oggi avvistabili, nelle periferie urbane/sociali.
Allo scopo di scongiurare la demolizione di tanto laborioso unitarismo, che risulterebbe rapidissima, la Merkel ha scrollato il totem della rigidità germanica. Bisogna elogiarla invece che irriderla. E augurarsi che al messaggio verbale seguano fatti concreti in soccorso all’inversione di rotta richiesto/invocato da cittadini troppo spesso considerati sudditi. Ci sono piazze e strade delle grandi capitali dove la sicurezza va garantita meglio di com’è finora accaduto; ci sono le sponde del Mediterraneo da difendere non dai profughi, ma dai profittatori dei profughi; ci sono le esportazioni da salvaguardare, ora che il protezionismo trumpista le mette a rischio. Eccetera.
Pochi, ma importanti obiettivi da cogliere in poco e importante tempo. Solo a tali condizioni la risposta istituzionale può volgersi in risposta popolare. Lo sappiamo bene anche noi, in Italia, che sul piatto delle citate preoccupazioni aggiungiamo il carico dell’incertezza delle sorti governative. Ignari di che cosa sia la velocità in sé -e figuriamoci di due velocità- ci lambicchiamo nell’idea che la riforma della legge elettorale sia tutto, quando invece rappresenta il nulla, di fronte al tutto che sta incombendo. Il problema non è se, quando e come voteremo qui, ma in che modo voteranno altrove. Possiamo dare una mano perché i dadi escano dal bussolotto in una favorevole combinazione: Renzi per primo (a ruota Grillo e Salvini), accomodando in garage l’agognato anticipo della chiamata alle urne.
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