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Attualità

L’INVERNO DEL NOSTRO SGOMENTO

CESARE CHIERICATI - 18/02/2012

Fine ottobre 1993, con l’allora sindaco di Venezia Massimo Cacciari stavo discutendo del Mose, le barriere mobili contro l’acqua alta, la cui costruzione ha diviso per un decennio la città, i tecnici, l’opinione pubblica, ma anche delle acque stagnanti di molti canali del centro storico i cui olezzi avevano avvelenato quell’estate della Serenissima. A un certo punto Cacciari si alzò e mi disse: “venga con me che le mostro qualcosa di inimmaginabile”, due calli oltre il Palazzo comunale mi mostrò un canale quasi in secca da cui due piccole scavatrici stavano rimuovendo quintali di melma e di rifiuti maleodoranti. “Una manutenzione che fino agli anni ’50-’60 veniva fatta in media ogni tre, quattro anni per garantire lo scorrimento delle acque e quindi evitarne il ristagno – disse il filosofo prestato alla poltica – è stata abbandonata, dimenticata e i soldi dirottati su altre voci di spesa più produttive per i politici locali”.

Nelle settimane della neve alta e fuori norma, del gelo, delle emergenze elettriche, ferroviarie e sanitarie, quell’esperienza veneziana di vent’anni fa è una metafora dell’Italia intera. Incapace di prevedere e di prevenire, sorda ai richiami dei geologi, degli esperti di catastrofi, perennemente sorpresa dagli eventi atmosferici siano essi terremoti, alluvioni, frane, esondazioni, eruzioni vulcaniche, nevicate o inquinamenti da idrocarburi o da rifiuti più o meno tossici e quant’altro.

Un paese votato alle emergenze nelle sue diverse articolazioni istituzionali, perché da quasi mezzo secolo ha messo in soffitta la cultura della manutenzione ordinaria, quella umile ma produttiva del giorno per giorno, quella che non fa notizia né immagine come reclama invece il credo politico tardo craxiano e neo berlusconiano. Perché è vero che negli ultimi tempi abbiamo subito un robustissimo colpo di coda dell’inverno come non accadeva dal lontano 1985 – nella Milano da bere pillitteriana cadde come un fico maturo il Palasport costruito alle spalle del mitico stadio di San Siro – ma è anche vero che non sono accettabili i guasti alle centrali termiche dell’Ospedale torinese delle Molinette, uno dei più titolati del Paese; il precario funzionamento delle cabine elettriche dei vari “gestori” disseminate nel centro sud che lasciano al buio duecentomila famiglia in un colpo solo; l’agonia delle ferrovie paralizzate più dall’incuria – salvo naturalmente l’alta velocità che fa mercato – che dal ghiaccio. E che dire dello psicodramma collettivo della neve a Roma dove le scuole sono rimaste chiuse più a lungo che a Kiev e c’è mancato poco che non si arrivasse all’assalto ai forni per panico indotto da inefficienze e media.

Per tacere naturalmente del sindaco Alemanno che ha speso più tempo nei desk televisivi che nel coordinare l’armata Brancaleone della sua amministrazione. Un déjà vu sempre più insopportabile e irritante che dovrebbe finalmente insegnare a tutti, a cominciare dai Comuni grandi e piccoli, che è più produttivo per la comunità pulire regolarmente tombini e cunette e mantenere efficiente l’illuminazione pubblica piuttosto che improvvisare una “notte bianca” o sostenere qualche spelacchiato “evento culturale.” In proposito anche a Varese qualche riflessione andrebbe fatta.

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