Che cos’è l’Europa? Si può tentare di rispondere a questa domanda, affrontandola da prospettive diverse. Si può, cioè, cercare una risposta nella geografia, nella cultura, nella lingua, nella storia. Anche nella genetica. Il risultato sarà sempre lo stesso: se con il «che cos’è» intendiamo svelare l’essenza metafisica, la quidditas dell’Europa, be’…, dovremo prendere atto che questa essenza eterna, immutabile e immobile, semplicemente non esiste. La stessa delusione si abbatterà anche sugli infaticabili cercatori di radici: non esiste una identità europea, nel senso che non esiste un qualcosa che, immutato da un tempo mitico, possa far pensare ad una continuità storica del Vecchio continente.
La difficoltà di definire l’Europa si era già manifestata ai primi geografi. Quali erano i suoi confini? Qual era il limite che separava l’Europa dall’Asia? Le ipotesi cambiarono nel corso del tempo, col mutare delle vicende storiche che istituivano sempre nuove relazioni tra un “Occidente” ed un “Oriente” di volta in volta lontano o vicino. Fu a seguito di una delle cosiddette Guerre del Nord, quelle combattute per contendersi l’egemonia sul Mar Baltico nella prima metà del XVIII secolo, che la definizione di un limite dell’Europa verso l’est registrò un importante progresso.
Philip Johan von Strahlenberg, svedese, cadde prigioniero dei russi nella battaglia di Poltava nel 1709. Da prigioniero, fu spedito in Siberia per circa un decennio. Il lungo ozio forzato, lo spinse a studiare la geografia e i costumi delle terre che aveva attraversato. Rientrato in Svezia nel 1730, diede alle stampe l’esito dei suoi studi: un volume dal titolo eccessivamente lungo per essere riportato in questa nostra paginetta.
Fu in quest’opera che, per la prima volta, venne indicata quella ipotetica linea di confine che separerebbe l’Europa dall’Asia e destinata ad avere una fortuna duratura: la cosiddetta linea di Strahlenberg, che dai monti Urali scende sino al Mar Caspio. (Ma ancora verso la metà dell’Ottocento, il celebre esploratore e naturalista Alexander von Humboldt definiva l’Europa, dal punto di vista geografico, come una «penisola occidentale dell’Asia».)
Anche sotto il profilo genetico la definizione di Europa appare quanto mai problematica. Il territorio che chiamiamo con questo nome è stato attraversato, nel corso della storia, da continue ondate migratorie. E le popolazioni giunte in Europa (so che sto per dare un grosso dispiacere ai devoti cultori di una presunta «razza» o «stirpe» europea e me ne scuso), si sono mescolate con quelle già insediate. L’integrazione, evidentemente, non è un problema che risale ai nostri giorni…
Fu proprio il nostro vecchio ominide europeo a dover soccombere a quelli che oggi definiremmo “immigrati”. Il nostro caro e vecchio Uomo di Neanderthal, che aveva vissuto nella parte centrale del nostro continente durante il paleolitico medio (cioè tra i 200mila e i 40mila anni fa), dovette cedere il passo e il posto all’Homo sapiens sapiens, giunto sulle nostre sponde dall’Africa. Poi fu la volta degli indoeuropei, migranti anche loro.
In anni relativamente più vicini a noi, e cioè a partire dal IV secolo d.C., da oriente sono penetrate in quella che per noi è l’Europa Burgundi, Bavari, Vandali, Visigoti, Alamanni, Ostrogoti, Svevi, Franchi, Longobardi, Sassoni. Tutti “barbari”, come recitavano i libri di scuola. Né possiamo dimenticarci degli Arabi, che per lungo tempo si sono insediati in Sicilia e in Spagna; o dei Magiari, di origine mongolica; o dei Vichinghi, che sono arrivati in Russia, Francia, Inghilterra e Sicilia.
Lo stesso Dante, in quell’angolo appartato dell’inferno dove, in un «nobile castello, /sette volte cerchiato d’alte mura, / difeso intorno d’un bel fiumicello», è ospitata la «filosofica famiglia» raccolta intorno al «maestro di coloro che sanno», lo stesso Dante, dicevo, non trova scandaloso accostare ai greci Socrate, Platone, Democrito, Diogene, Anassagora, Talete, Empedocle, Eraclito, Zenone, Euclide, Tolomeo, Ippocrate, Galeno; ai romani Seneca e Cicerone; anche gli arabi Avicenna e Averroè.
Perché forse l’Europa è tutta qui: in una pluralità di culture, in una pluralità di storie che si sono incontrate e scontrate in un’area geografica, i cui confini risultano estremamente mobili. Perché l’Europa, in fondo resta uno spazio aperto, dove da sempre i popoli si sono mescolati.
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