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Economia

LA GRANDE ILLUSIONE

GIANFRANCO FABI - 10/02/2017

euroSiamo ormai in campagna elettorale. In fondo lo siamo da almeno due anni con la troppo lunga contesa per la riforma costituzionale sonoramente bocciata nella consultazione popolare.

Uno dei temi di fondo che stanno caratterizzando il dibattito politico è già ora quello dell’Europa. L’effetto Brexit (che peraltro non riguarda la moneta unica perché Londra ha sempre mantenuto la sterlina), così come la crescita dei favori verso i movimenti “eurocritici”, stanno spingendo formazioni politiche come la Lega e i Cinque Stelle verso una campagna tendente a mettere al centro temi come la sovranità nazionale, l’abbandono dell’Europa e soprattutto l’addio all’euro considerato (come un capro espiatorio) la fonte di grandi problemi.

La proposta di abbandonare l’euro mira chiaramente più al facile consenso popolare che all’approfondimento reale sui problemi della crisi economica. Se è vero che non  ci sono soluzioni facili per problemi difficili, è altrettanto vero che è molto facile imbattersi in soluzioni sbagliate. È infatti una pericolosa illusione pensare che l’uscita dalla moneta unica e soprattutto il riappropriarsi della possibilità di stampare moneta sia la soluzione per liberarsi dalla morsa della burocrazia europea e per ridare spazio e ossigeno all’economia italiana.

Per contrastare questa tesi dovrebbe bastare far notare sommessamente che 140 paesi del  mondo hanno la piena sovranità monetaria, ma questo non aiuta a far sì che i paesi poveri siano meno poveri.  E far notare anche come un eventuale ritorno alla lira, non solo è tecnicamente complicatissimo e costoso, ma costituirebbe una fortissima penalizzazione per uno degli elementi fondamentali della realtà economica italiana, il risparmio delle famiglie. Una ripresa dell’inflazione a livello degli anni ’70 e ’80 porterebbe a un drastico taglio della ricchezza reale delle famiglie, un taglio che oltre che moralmente inaccettabile, causerebbe una crisi dei consumi ancora più forte di quella attuale. E dopo il primo impatto l’inevitabile rialzo dei tassi di interesse metterebbe fortemente a rischio la stabilità finanziaria.

È poi strano, per chi ha un ricordo degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, che ci sia qualcuno che abbia nostalgia della lira. Fu proprio in quel periodo di piena sovranità monetaria che l’inflazione superò il 20% all’anno, che i tassi di interesse reali furono per lungo tempo negativi, che si attuò una continua rincorsa tra prezzi e salari penalizzando le categorie meno protette, che iniziò la corsa ad un debito pubblico che peraltro solo l’avvento dell’euro e dei bassi tassi di interesse ha reso sostenibile. Le continue svalutazioni davano la breve illusione di un recupero della competitività, ma a costo di continui rincari dei beni importati.

Non è poi corretto affermare che in questi ultimi anni la moneta unica stia penalizzando le esportazioni italiane. È vero il contrario. L’attuale sostanziale stagnazione dell’economia italiana è dovuta unicamente a fattori interni, soprattutto per il calo dei consumi, mentre le esportazioni risultano negli ultimi anni sempre in crescita. I dati parlano chiaro: dopo la forte recessione globale del 2009 le vendite di prodotti italiani all’estero, al contrario di occupazione e produzione industriale, sono sempre cresciute e hanno largamente superato i livelli pre-crisi. In particolare nel 2014 e nel 2015 la crescita è stata rispettivamente del 2,2 e del 3,4%. Negli ultimi dieci anni, e quindi comprendendo il tonfo del 2009, l’export italiano è cresciuto del 20%, pur in uno scenario di sostanziale rallentamento del commercio mondiale.

Questo vuol dire che l’euro non solo non è un problema, ma ha facilitato gli scambi all’interno dell’Europa, il maggior mercato di sbocco per i beni italiani,  garantendo stabilità, trasparenza dei mercati, abolizione dei costi di transazione valutaria.

Questo non vuol certo dire che la moneta unica e la Banca centrale europea siano il migliore dei mondi possibili. C’è chiaramente l’esigenza di una maggiore solidarietà economica sotto una più costruttiva unione politica. Ma bisogna guardare in avanti. La strada dell’unione europea non è stata certamente priva di errori. Ma non è il caso di farne altri. E l’errore più grande, che sarebbe pagato a caro prezzo, sarebbe il tornare indietro.

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