Uno scappellotto e via: un commentatore che bene conosce le vicende locali la questione dei giovani writers padani sorpresi di notte a imbrattare il muro di una strada della città l’avrebbe risolta così; magari facendo pagare loro tutte le spese di ripulitura. Si sarebbe potuto anche essere d’accordo perché almeno all’apparenza, più che di un reato, s’è trattato di una marachella, se il nostro sindaco Attilio non fosse intervenuto a complicare le cose. Il primo cittadino, che è pure un bravo avvocato, ha annunciato che assumerà la difesa dei “discoli”. E non già per scrupolo deontologico, ma – è parso di capire – per solidarietà di parte. Anche se, com’è probabile, la difesa del sindaco dovrebbe riguardare solo l’accusa di vilipendio – o tentativo di vilipendio – di carica istituzionale, e non l’imbrattatura del muro.
I giovani autori del raid verniciatorio sono anch’essi padani e leghisti. Non è escluso perciò che l’offesa murale che i giovani si accingevano a manifestare – Monti buffone, anzi un monco “Monti bufi” rimasto tale per la precipitosa fuga – in chiave di critica sia stata un poco condivisa nei piani nobili di Palazzo Estense. Forse, se il nostro sindaco non fosse sempre calato nel suo britannico aplomb, quell’apostrofo al suo concittadino oggi presidente del consiglio l’avrebbe voluto dipingere lui, in modo del tutto metaforico s’intende. Avrebbe emulato così gli storici capi della Lega, che a suo tempo delle scritte murali avevano fatto scienza e politica. Un vero e proprio defensor fidei, dunque, più che un severo papà.
Un antico amministratore – antico solo d’età perché sempre giovanissimo di letture e di attenzioni – qual è Ambrogio Vaghi ha rilevato che il sindaco, con la sua ostentata presa di posizione, s’è cacciato in un pasticcio: in qualità di legale rappresentante del Comune, ente proprietario del muro dipinto, avrebbe dovuto subito sporgere querela contro i giovani imbrattatori e violatori delle regole; invece si troverà – potrebbe trovarsi – a esercitare l’avvocatura e la difesa contro sé stesso e contro la comunità che presiede. Ambrogio Vaghi si augura che il sindaco saprà risolvere l’inghippo.
A chiarire l’episodio è venuto poi anche l’intervento ufficiale di un giovane segretario leghista, autore di una sorta di rivendicazione del “diritto di imbrattatura”, un’assurdità scritta quasi a mo’ di provocazione artistica. Ma contenente un’intrinseca contraddizione se è vero, com’è vero, che i “pittori” sono scappati alle viste di un mite testimone, consapevoli di essere nel torto: se avessero esercitato un diritto avrebbero completato orgogliosamente il loro lavoro.
Ora il problema non è tanto quello del fatto in sé, quanto quello del “dove e del che cosa”. Se i padani avessero scritto “Monti bufi” in casa propria o su un loro giornale, nulla da ridire. Gli dà ragione anche la Costituzione. Altro è averlo fatto sui muri della comunità. Ma se si fossero trovati dipinti da parte di chicchessia eventuali epiteti nei riguardi di Bossi o di Maroni… Allora guai grossi, regole infrante, lotta sgradevole e illegale.
Il sindaco – con ogni probabilità – con la toga sulle spalle avrebbe tuonato anche contro il misterioso romantico, ma audace e ineducato, autore di quella scritta “Micina ti amo” che per lungo tempo ha campeggiato sul muro di una castellanza cittadina. Perché – si sa – c’è fede e fede.
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