“…Con i lavori rimasti fermi due anni non ci sono medaglie da appuntarsi sul petto…quello che conta è che ora vi siano tutti i presupposti per accelerare l’esecuzione dell’opera e completarla al più presto”. Esattamente tredici mesi fa Angelo Pierobon, sindaco di Arcisate, commentava così il via libera allo stanziamento definitivo da parte delle Stato di ulteriori 38 milioni di euro (261 milioni il costo totale previsto) per consentire il completamento dell’Arcisate – Stabio, il peduncolo – poco più di sei chilometri – che toglierà Varese dal suo storico isolamento ferroviario.
Parole sagge e realiste quelle del primo cittadino di Arcisate che mantengono tutto il loro valore di monito severo al netto dell’euforia, in verità un po’ sopra le righe, suscitata dall’abbattimento dell’ultimo diaframma, all’ interno del nuovo strategico tunnel di Induno Olona avvenuto lunedì 30 gennaio alla presenza del ministro delle infrastrutture Del Rio e di una pletora di politici e funzionari di vario livello.
Del resto si sa che nel bel paese “la sconfitta è orfana e la vittoria ha cento padri”.
In realtà i veri vincitori di questa lunga battaglia politica e burocratica sono i due sindaci di Induno e Arcisate, Piero Cavallin e Angelo Pierobon con l’intera popolazione dei loro comuni che ancora sta sopportando gravissimi disagi per gli infiniti lavori in corso.
Pur avendo appartenenze politiche diverse – centrosinistra il primo, Lega il secondo – non si sono mai arresi all’idea che anche la tanto invocata strada ferrata potesse finire nel lungo e desolante albo d’oro della grande incompiute nazionali. Non può invece vantare particolari meriti nella complicata vicenda la città di Varese che, pur essendo nell’immediato futuro la principale beneficiaria dell’infrastruttura, ha brillato per la propria assenza, nel corso della lunga e tribolatissima vicenda. Solo con la nuova amministrazione Galimberti i riflettori si sono di nuovo accesi sulla linea ferrata e sull’area della stazioni che necessita, in tempi brevi, di una sistemazione – al momento in fase di studio, progettazione e finanziamento – affinché risulti meno indecorosa di quanto sia stata finora.
Comunque sia, anche se le previsioni sembrano volgere al bello stabile per la tanto auspicata strada ferrata (se ne parla da oltre vent’anni), la vicenda della sua costruzione resta emblematica di un modo di procedere opaco scandito da grandi promesse e da pratiche poco trasparenti. Non ci si deve infatti dimenticare che i due anni di ritardo sulla tabella di marcia sono imputabili alla cosiddetta “sorpresa dell’arsenico” presente nelle terre di scavo. In base alle normative ambientali non potevano più essere utilizzate nei lavori successivi e andavano pertanto stoccate in siti sicuri la cui individuazione si è rivelata assai problematica. Un grave incidente di percorso che portò alla rottura del contratto tra Salini e Rete ferroviaria italiana; all’individuazione di un’altra impresa costruttrice (la Salcef) specializzata nel ramo ferroviario; a una pesante lievitazione dei costi che, come sempre accade in questi casi, ricadono sull’intera collettività. E anche con un pesante interrogativo destinato a rimanere per sempre in sospeso: come mai in sede di analisi geologica dei terreni non venne rilevata la presenza di arsenico. Imperizia, trascuratezza, dolo ? E sempre in fase di progettazione ed esecuzione dei lavori le preoccupazioni dei gruppi ambientalisti della Valceresio avrebbero meritato maggiore attenzione e accoglienza.
Il ministro Graziano Del Rio ha annunciato che l’impianto sarà pronto quest’anno a dicembre, ma a questo punto è meglio non avere fretta. Un mese in più o in meno non cambia la sostanza delle cose, l’inaugurazione dovrà avvenire solo quando tutto, ma proprio tutto, sarà stato testato e collaudato nei minimi dettagli. Per evitare quel che accadde nel dicembre 2004 con il passante ferroviario di Milano dopo anni di lavori a singhiozzo e manciate di milioni spesi. L’allora sindaco di Milano Gabriele Albertini e il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni girarono uno spot pubblicitario in abiti da capistazione dove presentavano la linea come la panacea di tutti i mali. Esaurita la corsa inaugurale il passante rimase a lungo bloccato. Un macchinista di consumata esperienza commentò gelido: “In un paese civile si fanno almeno dai tre ai sei mesi di collaudi prima di iniziare il servizio regolare”. Purtroppo il 2017 e il 2018 sono anni ad alta densità elettorale e di solito le inaugurazioni fanno gola ai politici. Ovviamente bipartisan.
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