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Editoriale

DUALISMO

MANIGLIO BOTTI - 03/02/2017

essereavereLe immagini dei soccorritori che scavano volontariamente e in silenzio per estrarre le vittime della slavina che ha travolto l’albergo Rigopiano, le necessità delle popolazioni terremotate e coperte dalla neve e, altrove, la notizia di quanto eventualmente percepirà in emolumento il presentatore e direttore artistico del prossimo Festival di Sanremo Carlo Conti (cinquecentomila? seicentomila euro?), e magari con la sua coequipier Maria De Filippi, che però annuncia beneficenza, sollevano – sul web ma non solo – un interrogativo che da sempre fa parte della polemica italiota: è giusto, è morale, è accettabile tutto ciò?

In effetti il problema parte da lontano, forse dai tempi dell’antica Roma e dai gladiatori superpagati e ben nutriti (ma almeno quelli rischiavano la vita…) e dai “panem e circenses”. Via via per arrivare ai giorni nostri, quando un calciatore (e anche un attore di cinema o un presentatore tv) può guadagnare in un anno dieci, venti volte tanto quanto potrebbe finire nelle tasche, che so, di un chirurgo pediatrico…

Una prima risposta è inevitabile, in un regime diciamo così, di libero mercato, ma potremmo dire infine libero tout court: nessuno ha mai pagato un soldo per vedere un chirurgo operare (a meno che non sia direttamente interessato al problema, ma sono casi rari), mentre invece è considerata cosa “buona e giusta” – o forse soltanto normale – che si possano sottrarre a un già esiguo e striminzito stipendio cifre in proporzione altissime per assistere, la domenica (e oggi anche il sabato, il lunedì e il mercoledì) alle partite della squadra del cuore; oppure – sempre pagando nuovi canoni – seduti davanti alla tv che le propina, a condizione di abbonamenti ben promozionati e di investimenti milionari da parte di aziende e imprese che fanno pubblicità.

Non abbiamo risposto, tuttavia, alla domanda se ciò che accade è giusto, morale e accettabile. Non lo è probabilmente, e anche senza il probabilmente. Tuttavia v’è da chiedersi chi è la causa di ciò, e per alcuni la colpa. Il vero bene cui sempre si guarda, dentro e fuori di noi, non è la salute, e tanto meno la solidarietà, specie se essa indirettamente va a scapito delle comodità acquisite. Ma il rigonfiamento del portafoglio. È il solito confronto dualista tra l’essere e l’avere. E anche un po’ il giudizio che s’è rilevato, facendo scorrere i commenti, riguardo il fatto politico più eclatante degli ultimi mesi e l’elezione a presidente degli Usa di Donald Trump: se il personaggio è miliardario, cioè ricco sfondato, significa che non è cretino, cioè se è ricchissimo vuol dire che è anche intelligente e capace.

Non sono però queste ultime condizioni assimilabili alla ricchezza. La quale, più spesso, trova origine in altre categorie caratteriali. Ma, ancora, forse il problema non è neppure questo. La corsa alla globalizzazione, è stato detto, non è vero che ha procurato danni, ma ha reso i poverissimi un po’ meno poveri. Vero, ma a distanza ha creato la nuova schiera degli ultraricchi. E in ogni modo, il criterio finale è sempre lo stesso: valutare uomini e vicende a seconda di quant’è e qual è la resa economica.

Pensare all’istituzione di leggi che riequilibrino le sorti è difficile, per non dire assurdo. Quindi si può solo sperare in una riflessione. In una novella molto famosa e che si legge nelle scuole, ma spesso solo con finalità di erudizione, più che di ammaestramento, “La roba”, di Giovanni Verga, è raccontato che il personaggio – Mazzarò – giunto alla fine della sua avventura terrena scende nell’aia prendendo a bastonate anatre e tacchini dicendo: roba mia vientene con me…

È proprio così, quando giunge il momento – questa sarebbe la vera riflessione da fare – nessuno si porta dietro la “roba”. Però c’è sempre chi risponde che in qualche modo la roba resta, e qualcuno se la prende e se la tiene. Anche se fino a quando non si sa.

 

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