Era il ’56? O Mia Martini mi confonde i ricordi? Fatto sta che di neve, anche quell’anno intorno al ‘60, ne era venuta tanta ma tanta ma tanta, che raggiungere a piedi la scuola era un’avventura. Di auto nemmeno a parlarne: la salita davanti a casa mia, quando la trazione era posteriore, rischiava di essere fatale.
Fantastica neve, per slittare sotto casa sulle ripe della ex Colonia Elioterapica, per inzupparsi di palle ghiacciate il maglioncino di lana ruvida, le muffole e il berretto col ponpon.
Ma il sentiero per la scuola era un’impresa seria: così ci si armava di stivaletti di gomma, doppi calzerotti, pantaloncini cuciti dalla mamma per il grande freddo e, immancabili in cartella, le pantofole di panno da calzare a scuola, appena entrati in classe, dove la maestra ci faceva sistemare scarponi e stivali sotto il calorifero, in una bella fila ordinata.
Quelle scarpette fradice schierate come soldatini sono uno dei ricordi più cari delle mie elementari alla Ugo Foscolo di Varese, scuola periferica, quasi di campagna. Una “casa” dove era bello andare, affascinante ascoltare, fantastico lo stare insieme: con classi di trenta, quaranta alunni, maestre tanto materne quanto inflessibili, preghiere nell’atrio scandite dalla voce dell’unico insegnante maschio, e canti patriottici. E se il Regime era ormai lontano, in cortile si marciava unò duè, fronte a dest, dietrofront: e si cantava, con buona pace della neonata repubblica, Roma Divina.
Negli abbecedari (sfido i giovani ad aver usato almeno una volta in vita loro questo vocabolo) spopolavano racconti edificanti, proverbi di saggezza antica (sotto la neve pane sotto la pioggia fame), poesie di Ada Negri e Giacomo Zanella. Cattolicissimi, chiaramente.
Ma anche di un classico grande come Metastasio, con questi quattro versi che spesso mi risuonano nel cuore:
“Dovunque il guardo giro, immenso Dio, ti vedo: nell’opre tue t’ammiro, ti riconosco in me”.
You must be logged in to post a comment Login