Sono della provincia di… Questo segno identitario è stato forte per moltissimo tempo ed ha attraversato indenne la Prima Repubblica portando con sé una concorrenza territoriale che ha avuto delle valenze positive (o non negative) anche nella nostra regione: Bergamo e Brescia, Varese e Como e così via. Questo è uno dei motivi che hanno sempre reso difficile ripensare il “destino” delle Province come Enti pubblici che negli ultimi decenni sono cresciuti contro ogni logica di efficienza amministrativa.
Ma il sentire “popolare” non è stata la causa decisiva della sopravvivenza delle vecchie Province. Altre due ragioni sono risultate più rilevanti. La prima stava nell’opposizione diffusa di parecchi politici che in tali istituzioni avevano trovato un punto di operatività e visibilità. La seconda nel contrasto di molti uffici provinciali di Enti e organizzazioni statali i quali temevano che la sparizione dei tradizionali enti provinciali sarebbe stata anche il motore della loro eliminazione attraverso accorpamenti e fusioni fra territori diversi e contigui.
Ecco perché il tentativo di riordino provinciale della legge Del Rio del 2014, da migliorare in molti profili, non va assolutamente abbandonato. Due i punti strategici più rilevanti che andrebbero concretizzati. 1) Proseguire nella trasformazione istituzionale tale da portare le province dalle 109 di oggi a non più di una sessantina di enti intermedi fra Comuni e Regioni affidando a queste ultime il delicato compito di ridisegnarne i confini. 2) Confermare che sono i sindaci e i consiglieri comunali ad avere la responsabilità della loro amministrazione e funzionamento.
Sul primo punto va detto che nelle grandi o medie regioni gli enti intermedi sono necessari mentre in quelle più piccole sono inutili e troppo costosi (talvolta perfino ridicoli) in quanto moltiplicano i centri amministrativi creando complicazioni e confusione. Chiaro che in Lombardia (dieci milioni di abitanti) l’ente intermedio è essenziale per una serie di servizi che non possono essere affidati ai Comuni (troppo piccoli) né tanto meno alla Regione (troppo grande) che diventerebbe un’istituzione più difficile da governare e a suo modo centralista.
Sul secondo punto, va sempre tenuto presente che la Lombardia già quarant’anni fa aveva ritenuto le Province anacronistiche e per superarle aveva istituito i Comprensori affidandone la guida e la gestione ai Comuni per non legittimare la formazione di una classe politica ad hoc. La Regione era poi ritornata sui suoi passi abrogando i comprensori solo dopo che a Roma avevano malauguratamente confermato le Province. C’è solo da auspicare che da noi, con il pragmatismo che ci contraddistingue, non si receda dal progetto di riforma (con riduzione del numero) iniziato da qualche anno.
Questo orizzonte sarà vincente dopo la sconfitta referendaria che non ha cancellato le Province dalla Carta costituzionale? Difficile a dirsi. Perfino Forza Italia, il cui leader Silvio Berlusconi voleva eliminarle, si appresta a chiedere di tornare all’elezione diretta dei Consigli provinciali. La Lega è della stessa opinione e alcuni esponenti locali del centrosinistra sono tentati dal ritorno di fiamma.
Con un governo più debole e con le elezioni in vista tra sei mesi o fra un anno tutto ciò rischia di entrare nel vortice della demagogia e di essere lasciato in bilico per un periodo non breve con la conferma di un tratto tipico della nostra identità nazionale: l’estrema difficoltà di riforme che incidano direttamente sul corpo multiforme ed elefantiaco del nostro sistema politico-burocratico.
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