Il glorioso avvenire per il popolo ebraico afflitto da esili, persecuzioni, gravita attorno alla persona di un Messia; la grandezza nazionale, più volte mortificata, è destinata al riscatto nell’apogeo degli ultimi giorni; l’età d’oro è relegata nel futuro in termini innanzitutto di potenza. In parecchi passi il Talmud si richiama in corrispondenza al Messia e alla sua missione. Fa parte del piano del Creatore fin dall’origine dell’universo, ma in nessun luogo del Talmud si accenna alla sua persona come a un liberatore sovrumano.
Nella letteratura rabbinica il Messia è definito figlio di Davide. La speranza del suo avvento si manifesta sempre più fervida nei tempi più tristi della vita nazionale. Presso i Dottori la dottrina del dolore del Messia si collega alla constatazione di condizioni fattesi ormai insopportabili. Le agitazioni politiche si concluderanno in un’aspra guerra, cui farà seguito il rifiorire di una natura meravigliosamente feconda. “Il Signore ti sarà luce eterna e i giorni del tuo lutto saranno finiti” (Isaia LX, 19). Anche Sodoma e Gomorra saranno riedificate nell’al di là. ” Non si udrà più in essa – Gerusalemme – né la voce dei pianti, né grida di angoscia” (Isaia LXV 19). “ Distruggerà per sempre la morte; il Signore Dio asciugherà le lacrime su tutti i volti e toglierà l’ignominia del suo popolo su tutta la terra” (Isaia XXV 8). Mentre i popoli pagani non saranno accettati, ci sarà invece il ritorno delle dieci tribù perdute. Con la restaurazione della Città Santa il Tempio verrà ricostruito, mentre non ci sarà più bisogno di sacrifici espiatori. Tuttavia il povero non verrà meno sulla terra neppure nell’era messianica,
Isaia (XI,9) prefigura così quest’era: “Non si commetterà il male, né vi sarà strage, su tutto il mio santo monte, perché il paese è pieno della conoscenza del Signore”. Così in questo Regno di Dio sulla terra ci sarà la rinascita di Israele e del regno di Davide.
Gli scritti di Qumran orientano alla restaurazione l’attesa messianica, purificato dall’esilio il popolo ebraico e ritornato in patria. La comunità redenta non si identifica più con la ripristinata unità di Israele, ma intende se stessa come il resto eletto grazie al proprio timor di Dio.
Le opinioni dei Sapienti sono sempre in stretto collegamento con idee apocalittiche. Le concezioni della redenzione messianica sono costante contenuto di fede e restano come attesa pressante nell’ebraismo rabbinico. I terrori delle esperienze storiche sono descritti a tinte violente in tutti i testi. I Sapienti avevano comunque fiducia che Dio opera nella storia.
Queste le caratteristiche nella rappresentazione del Messia: preesistenza, vita occulta, apparizione da sovrano con l’omaggio di tutti i popoli, soltanto strumento nelle mani di Dio. L’ufficio dell’Unto nel processo della redenzione non si distingue da quello di Mosè. Già nel secondo secolo nella letteratura della tradizione compare un secondo Messia (precursore). Il messianismo post-talmudico si apre a tutta l’umanità (Maimonide) e l’aspetto universalistico della fede messianica abbandona quello nazionale.
La predicazione escatologica dei profeti vede la realizzazione delle promesse alla fine dei tempi. In Isaia IX 1-6 il Messia è l’ideale re del futuro, che avrebbe procurato al popolo gioia, pace e giustizia, mentre Matteo 4,16 avrebbe colto l’adempimento di questa profezia in Gesù, che annunzia la buona novella: il popolo che giace nelle tenebre ha visto una gran luce; per quanti dimorano nella tenebrosa regione della morte una luce s’è levata.
Nella terminologia del Corano Messia è un titolo di Gesù Cristo, mancando il dogma del peccato originale. Nell’Islam sciita il concetto coincide ampiamente con l’idea del ritorno di un Mahdī salvatore atteso alla fine dei tempi.
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