(S) In ossequio alla tradizione ho partecipato alla festa di sant’Antonio Abate martedì scorso, dopo aver rinunciato alla serata del falò, a causa del freddo, la sera precedente. Tanta gente, bancarelle d’ogni genere, ma ormai lontane dalla tradizione. Mi sono sentito perso, in una folla più curiosa che devota. Qual’era il significato della festa, se mai c’è stato?
(O) Io sono stato alla Messa, alla benedizione egli animali e a quella del pane, nel vicino panificio, ho fatto una piccola spesa di pane benedetto, di dolcetti e di polenta tradizionale. Certo, non ho trovato i ‘pesitt’ che il nostro Conformi avrà cercato invano, rincorrendo una tradizione alimentare sorpassata dai tempi e dall’economia di mercato. Cibo una volta popolare, oggi i ‘pesitt’ costerebbero troppo, come prodotto di nicchia, come del resto le caldarroste e persino le frittelle, vendute ad un prezzo esorbitante il valore intrinseco. Ma si sa, si paga l’occasione speciale. A differenza di Sebastiano, ho trovato significativa la liturgia e l’omelia di mons. Prevosto, che è stato in grado di attualizzare un messaggio apparentemente lontanissimo come quello del monachesimo eremitico del quarto secolo. Oggi l’esigenza è la stessa: conoscere e amare Cristo, in mezzo ad una folla di idoli, di false credenze, di relazioni personali e sociali viziate dal peccato. La lotta di Antonio nel deserto è contro il peccato, che gli appare anche personificato in forme demoniache, ma la sua ascesi e l’esempio della sua santità daranno frutto anche sociale e politico, con il riconoscimento della liceità del culto cristiano nell’Impero romano, con affermazione della piena divinità del Figlio (consustanziale al Padre) al concilio di Nicea, grazie all’opera di sant’Atanasio, suo discepolo e poi suo biografo, con la successiva conversione dei popoli ‘barbarici’ che costruirà l’Europa dei popoli che dura (?) ancor oggi. Tuttavia sarei curioso di conoscere l’origine e le caratteristiche del culto di questo santo.
(C) La figura storica di sant’Antonio ci è nota appunto dalla ‘Vita Antonii’ di Atanasio, che ci dà informazioni certe, al di là del genere letterario agiografico, che concede qualche volo al miracolismo. Le caratteristiche devozionali che accompagnano il suo culto risalgono invece al medioevo, quando le sue reliquie (o presunte tali) furono portate da Costantinopoli in Francia e cominciarono a diventare oggetto di culto e di pellegrinaggi. Siamo tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo, quando la custodia delle stesse passa dai benedettini ad un ordine appositamente fondato, gli Antoniani, che progressivamente incrementano la loro missione, dall’accoglienza dei pellegrini alla cura delle malattie, di cui gli stessi erano portatori e che erano spesso il vero motivo del pellegrinaggio. L’ordine si qualifica come ‘ospitaliero’ e i luoghi di accoglienza dei pellegrini, disposti lungo il percorso verso il santuario, diventano essi stessi ‘ospedali’. Suppongo non sia un caso che l’Ospedale di Gallarate sia intitolato a s. Antonio abate.
La loro ‘specialità terapeutica’ è la cura del dolorosissimo erpes zoster (oggi sappiamo causato da un virus) per il quale, non essendovi cura specifica, i monaci Antoniani procuravano un lenitivo a base di grasso di maiale. Per questo ottennero di poter allevare maiali, che davano anche un reddito per il mantenimento delle opere conventuali. Non essendo contadini, i monaci lasciavano pascolare liberamente i maiali nei villaggi, dove la gente dava loro nutrimento con gli avanzi del cibo; per segnalare la proprietà del convento e per ritrovarli più facilmente, legavano loro al collo una campanella, simbolo che ritroviamo nella diffusissima iconografia del santo. Abbiamo quindi spiegato come s. Antonio è diventato ‘del porcello’, sebbene in vita sua non avesse mai allevato un maiale.
(O) Già, ma il fuoco, il fulmine, le stalle, gli animali domestici?
(C) Si ipotizza una correlazione tra il bruciore dell’erpes, chiamato volgarmente ‘fuoco di s. Antonio’ e il fuoco vero, poi dai maiali si passa a tutti gli animali da allevamento e quindi alla stalla, sempre a rischio d’incendio e da un altro lato agli animali domestici. Quando un santo viene riconosciuto ‘ausiliatore’ per un problema della vita e la sua intercessione risulta efficace, lo si invoca anche per un altro caso.
(S) Ma questa è superstizione, credulità popolare e chi ne abusa…
(C) Sarebbe superstizione se non si riferisse a Dio il potere di concedere la grazia invocata, se si ritenesse che da soli, per virtù propria lo scongiuro o l’oggetto o il rito producessero il risultato. Il santo intercede solamente presso Dio.
(S) Il mio cane lo porto dal veterinario, non in chiesa. Nemmeno in circostanze come questa vorrei vedere cani in chiesa; invece ho visto già certe signore accostarsi alla comunione col cagnetto al guinzaglio. Alla festa, ieri, c’erano solo animali domestici e persone anziane, solo qualche classe di bambini per il lancio dei palloncini, nessuno tra agricoltori e signorine in cerca di marito, come nella tradizione, niente di niente. La tradizione invecchia e sparisce, inesorabilmente.
(O) Ecco un altro argomento, come nasce e come si sviluppa la tradizione a Varese?
(C) Ammetto che ne so poco. Anni fa la rivista Tracce pubblicò uno studio tratto dalla tesi di laurea di Loredana Massari sulla storia della Confraternita di sant’Antonio abate: sorprendentemente risultano molte notizie sulla confraternita, sugli sviluppi religiosi, sulla ristrutturazione della preesistente chiesa di sant’Antonio, ma non vengono mai citati gli Antoniani, piuttosto risultano vicinanze sia con i Francescani, sia con i Canonici di san Vittore. E non si trova la minima traccia di benedizioni di animali, di falò e di tutto ciò che si riferisce alla devozione attuale. Vero è che lo studio si ferma al Settecento. In tempi più recenti, parliamo dell’Ottocento, la festa appare identica nella sostanza a quella attuale, ma con grande afflusso degli agricoltori e allevatori dei dintorni e delle famose donzelle che invocavano il santo per ‘truvà el murus’ e mettevano il bigliettino con il nome desiderato tra i rami della pira, così che non ci fosse rischio di equivoco o di smemoratezza di sant’Antonio. Penso che certe credenze e i comportamenti relativi si diffondano per contatto personale, oggi si dice ‘viralmente’, senza bisogno di una organizzazione che li sostenga. Del resto queste caratteristiche della festa, che già Goethe aveva riscontrato nel Settecento annotandole con teutonica meraviglia in una pagina di ‘Viaggio in Italia’ sono diffuse in gran parte dell’Europa, proprio prescindendo dalla presenza in luogo dell’Ordine degli Antoniani.
(S) Dite quello che volete, a me pare solo un’occasione per un mercataccio di bancarelle che vendono paccottiglia a prezzi esagerati e creano solo confusione; non so nemmeno se il Comune ci guadagna un po’ di plateatico o se, in onore del Santo, lo concede gratis… e magari ci rimette il costo delle ore straordinarie dei vigili e il mancato incasso dei parcheggi.
(O) Ah ah! Adesso c’è Facebook e una libertà di movimento che… Non era l’invocazione al santo, ma la possibilità di uscire con quella scusa che aiutava gli incontri sentimentali, Sebastiano, non fare il moralista, È ovvio che oggi i cuori solitari sono di persone assi più attempate, magari più deluse che illuse o speranzose e che hanno come più consolatoria compagnia quella di un grazioso animale domestico, ma va bene così! Semmai siamo noi a dover stare più attenti alla solitudine delle persone e fare loro compagnia. Mi sono intenerito quando alla festa ho incontrato un’amica ammalata, accompagnata dalla domestica e mi sono detto che avrei dovuto pensarci io.
(C) Una festa resta solo una festa, anche se c’è un’origine religiosa e se il significato permane, ma la festa ha pure un valore in sé, di sviluppo di relazioni, di conservazione di memorie e di comunicazione di novità: per esempio, l’omelia di monsignor Panighetti, già ricordata da Onirio, ha posto l’accento sulla necessità attualissima di una ‘amicizia civica’ tra tutte le realtà sociali e politiche cittadine, che mi pare una proposta tempestiva e significativa, che non ci dovrebbe trovare sordi.
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