Per ricordare Zygmunt Bauman, sociologo morto il 9 gennaio, ricorro alle note e ai ricordi accreditati da due amici: Franco Astengo e Tonio Dell’Olio, colpiti sotto diversi punti di vista dalla straordinaria preveggenza del grande polacco, autore de “La società liquida”.
Nella sua ultima intervista rilasciata a “Repubblica” Bauman si era richiamato alla “fabbrica fordista” individuandola come sede del conflitto: “Quello era il luogo dei conflitti tra capitale e lavoro in una relazione, ostile, ma di «lungo termine». Questa caratteristica consentiva agli individui «di pensare e fare progetti per il futuro»”. Non la società liquida che opera nella molteplicità delle contraddizioni e nel concreto del presente, ma una società che ritrova uno schema logico in cui l’organizzazione sociale e politica guarda al futuro, affrontando le contraddizioni all’interno di una “visione organica” dove si continua a lottare per una maggiore giustizia e con l’arma della democrazia e della solidarietà. Se volete, un omaggio al sindacato creato da lavoratrici e lavoratori ed oggi messo ai margini.
Bauman ha sempre valorizzato il dialogo, una parola che non dovremo mai stancarci di ripetere. “Solo con il dialogo – affermava in un incontro tra le religioni nel 2016 ad Assisi – è possibile ricostruire il tessuto della società. Dobbiamo considerare gli altri, gli stranieri quelli che appartengono a culture diverse, persone degne di essere ascoltate. La pace potrà essere raggiunta solo se daremo ai nostri figli le armi del dialogo, se insegneremo a lottare per l’incontro, per il negoziato, così daremo loro una cultura per creare una strategia per la vita, una strategia volta all’inclusione e non all’esclusione”.
E aggiungeva: “Dobbiamo capire che l’equa distribuzione dei frutti della terra e del lavoro umano non è pura carità, ma un obbligo morale. Se vogliamo ripensare le nostre società, dobbiamo creare posti di lavoro dignitosi e ben pagati soprattutto per i nostri giovani, dobbiamo passare dall’economia liquida, che usa la corruzione come un modo per trarre profitto, verso una soluzione che possa garantire l’accesso alla terra attraverso il lavoro”.
Papa Francesco sostiene che la cultura del dialogo deve essere parte integrante dell’educazione e dell’istruzione che forniamo nelle nostre scuole, in modo interdisciplinare, per dare ai nostri giovani gli strumenti necessari per risolvere i conflitti in modo diverso da come siamo abituati a fare. Un modo diverso da quello seguito dalla politica. Un proverbio cinese dice: “Dobbiamo pensare all’anno prossimo piantando semi, ai prossimi dieci anni piantando alberi, ai prossimi cento anni educando le persone”.
L’educazione è un processo a lunghissimo termine. La creazione di un mondo pacifico non è come prepararsi una tazzina di caffè, è ben più complicato. Pazienza, quindi: dobbiamo concentrarci sugli obiettivi a lungo termine, sulla luce in fondo al tunnel, a prescindere da quanto possa essere lontana al momento in cui la osserviamo.
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