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Società

L’INTEGRALITÀ

EDOARDO ZIN - 20/01/2017

maritainPer ricordare il professor Piero Viotto una rivista mi chiede un contributo. Vado alla ricerca delle “fonti” e mi capita sottomano un libriccino dimenticato nell’ultimo ripiano della mia libreria, coperto di polvere: è il celeberrimo – negli anni ’50 e ’60 – “L’educazione a un bivio”, che raccoglie il testo di quattro conferenze tenute da Maritain all’università di Yale negli anni della guerra, quando era esule negli Stati Uniti.

Pubblicato in inglese nel 1943, fu tradotto in francese nel 1947 e proprio Pierino (così si legge nella prefazione!) Viotto lo tradusse in italiano per la casa editrice “La Scuola” nel 1950. La copia nelle mie mani è del 1961 ed è l’ottava ristampa: un vero best-seller! Lo sfoglio. Dalle mie chiose e dalle mie sottolineature comprendo che deve essere stato un manuale oggetto di un mio esame a Magistero.

Mi colpiscono alcune frasi da me sottolineate: “Non è possibile una concezione educativa senza una filosofia della vita e dell’uomo… L’educazione moderna è deviata per l’esclusivismo parziale su cui vengono impostate le sue teorie… Si dimentica che, per essere educazione dell’uomo, l’educazione deve essere integrale, di tutto l’uomo… oggi l’uomo vive di ciò che respinge e muore di ciò che abbraccia…”.

Sono folgorato da questi pensieri che, pure scritti più di settanta anni fa, mantengono intera tutta la loro attualità, anzi li stimo un richiamo per ritornare alle sorgenti di ciò che è oggi essenziale e che incoscientemente, forse, si cerca e non si trova.

Molti definiranno le mie considerazioni “archeologia pedagogica”: si tranquillizzino questi soloni che dalle cattedre universitarie diffondono il loro verbo, frutto non delle loro ricerche, ma contraffazione del pensiero anglo-sassone – tutto pragmatismo e sperimentazione – che ormai ha invaso le nostre scuole provocando i danni che constatiamo quotidianamente. Non si preoccupino neppure quei docenti che per quieto vivere o insipienza o pusillanimità preferiscono ubbidire alle ordinanze ministerial-sindacal-burocratiche piuttosto che alla loro coscienza. E non si offendano quei pochi insegnanti che, con abnegazione, lavorano costantemente con sacrifici pur di lasciare ai loro allievi un “segno” e non solo una conoscenza imparaticcia.

Il male che affligge oggi la scuola e tutte le agenzie educative occidentali è la scomparsa del senso dell’uomo integrale, cioè della persona che è dotato di intelligenza, di sentimenti, di volontà, che ha un corpo e un carattere, che vive in relazione con gli altri e aspira a qualcosa che lo supera, che è invisibile, trascendente, ma che c’è.

L’uomo è frammentato, parcellizzato. La formazione dello “strumento testa” è inseparabile da quella del cuore, separando l’intelligenza dall’affettività entrambe si impoveriscono. Possono insegnare quello che vogliono o quello che sanno attraverso tecniche e mezzi sofisticati, ma se la “conoscenza” o la “competenza”, dopo essere stata appresa, non diventa “cultura”, cioè “coscienza”, non diventa vita, passione, interesse. Serve solo per campare.

A scuola il sapere si sbriciola in una serie di “educazioni settoriali”. I bambini diventano obesi? Si chiama il dietologo che fa loro una bella lezione sulla piramide alimentare. I bambini non rispettano il codice stradale? Si chiama il vigile del comune o il poliziotto della stradale che spiega bene i segnali stradali. I giovani si fanno le canne? Si chiama il tossicologo. Usano banalmente la loro sessualità? Si chiama il sessuologo. Ma il comportamento a tavola, sulla strada, le droghe, l’alcool, il sesso sfrenato si combattono con la formazione di una coscienza morale e tutti assieme: famiglia, scuola, gruppi sportivi, associazioni, gruppi dei pari ecc. Il lodevole volontario-specialista conosce bene la nozione da impartire, ma non coloro a cui impartisce la sua lezione. Infatti, domanda Maritain, “per insegnare la biologia a Marco, bisogna conoscere Marco o la biologia?”

Mentre stavo per stendere il ricordo di Viotto, la radio mi portò in casa la notizia della morte di Zygmunt Bauman, sociologo, studioso della società post-moderna, filosofo acuto e il pensiero corse subito all’unica opera dell’ebreo polacco che lessi. Anch’egli denuncia in “Modus vivendi” le conoscenze senza apprendimento o l’apprendimento senza fatica, il guadagno facile, i risultati senza sforzi, la superficialità dilagante che dominano la società d’oggi.

Non solo le conoscenze sono diventate “liquide” e corrono veloci, si smembrano, non restano come le acque di un fiume che scorre, ma anche l’affettività non gode più delle conquiste durevoli e regredisce fino a cedere alle pulsioni più istintive. I sentimenti una volta più sentiti vengono considerati merce in vendita. Il cuore si lacera tra il desiderio di un amore autentico e la voglia di provare nuove emozioni. Non si educa più alla contemplazione di un tramonto o di una bella opera d’arte o all’ascolto di una poesia o di una buona musica. Si vuole tutto e subito.

Il sociologo Bauman conferma con le sue analisi ciò che il filosofo Maritain aveva espresso più di settanta anni fa. Dopo Freud e Piaget conosciamo meglio le incidenze dell’ambiente, delle condizioni sociali, del contesto socio-culturale, del clima affettivo di cui dobbiamo tenere conto, ma a condizione, tuttavia, che non si dimentichi che fine dell’educazione è lo sviluppo dell’uomo in tutta la sua irripetibile integralità.

L’uomo integrale si sviluppa se egli ha accanto a sé educatori che realizzano il loro compito non per “mestiere”, ma per “vocazione” e lo aiutano a realizzare tutta l’umanità che è in lui. È il risveglio della coscienza dell’uomo la vera missione dei genitori, degli insegnanti, degli educatori: è questo il sigillo d’autenticità di ogni relazione educativa. Educheranno soprattutto se avranno in sé più risorse di quante ne contengano i manuali di pedagogia.

E c’è un’altra condizione. Viviamo in un’epoca in cui tutto porta a innovare piuttosto che a conservare, a rischiare nuovi itinerari piuttosto che a ritracciare per coloro che sono venuti dopo di noi i vecchi sentieri. Le eredità del passato non si conservano tanto nei musei o nelle biblioteche quanto nelle istituzioni educative.

Una società nella quale si dissolvono i punti fermi nuota, come ci ricorda Bauman, in una sorte di fluido incolore, al massimo addensato di mucillagine, mentre abbiamo bisogno che le nuove generazioni si abbeverino a fonti chiare, trasparenti, cristalline della conoscenza come ci ricorda Maritain.

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