Carlo Borromeo non fece in tempo a vedere l’inizio dei lavori di sbancamento della Via Sacra di Varese (1604) che è di vent’anni posteriore alla sua morte (1584), ma sicuramente ne condivise l’idea che era nell’aria da tempo. Egli era solito frequentare il quattrocentesco Sacro Monte di Varallo e le opere che vi ordinò ne fecero il prototipo dei Sacri Monti che sorsero in seguito in Lombardia, Piemonte e Svizzera (Orta, Varese, Oropa, Crea, Locarno). A Varallo si recò pellegrino anche pochi giorni prima di morire e, secondo il biografo Fasola, “lasciò molti disegni per le Cappelle da farsi e chiamò a realizzarle il Pellegrini”.
Diede impulso alla costruzione dei Sacri Monti come luoghi di pellegrinaggio e si occupò dei problemi della comunità religiosa di Santa Maria del Monte. Visitò il territorio di Varese numerose volte. Il segretario Carlo Bascapè riporta questo elenco nella “Cronologia della vita e dell’età di San Carlo”. Visite alle pievi di Angera, Varese e Besozzo tra l’11 e il 21 novembre 1567; alle pievi di Legnano, Gallarate, Arsago, Somma, Castelseprio e Tradate tra il 18 aprile e il 23 luglio 1570; a Bedero Valtravaglia, Mombello, Leggiuno, Gavirate, Besozzo, Varese, Porto, Castello Valtravaglia, Arcisate e Cuasso in Valceresio tra l’1 luglio e il 25 agosto 1574.
Arsenio Da Casorate, autore della biografia del padre cappuccino G. B. Aguggiari a cui si deve l’idea della Via Sacra varesina, attribuisce al Borromeo il merito di aver messo in contatto i Cappuccini con il monastero delle Romite propiziando, di fatto, l’arrivo a Santa Maria del Monte dell’”ideatore” della Via Sacra. Padre Arsenio scrive: “Siamo propensi a credere che ad affidare ai Cappuccini la cura dell’istruzione religiosa settimanale e delle confessioni periodiche delle monache ambrosiane del Sacro Monte sia stato l’arcivescovo quando, in visita pastorale a Varese, mise mano al riordino spirituale, giuridico e amministrativo di quel complesso di persone e opere che vivevano e fiorivano attorno al celebre santuario…”
La figura di san Carlo è legata alla montagna varesina anche attraverso il filo della devozione mariana. Giovanni Paolo II ne parlò diffusamente durante la visita al Sacro Monte, venerdì 2 novembre 1984, in occasione del quarto centenario della morte dell’arcivescovo milanese. Ecco un brano del discorso che il papa polacco tenne ai fedeli: “San Carlo venne qui più volte pellegrino, e con la visita pastorale compiuta nel 1574 portò un radicale mutamento nella situazione del clero e nella legislazione del monastero delle Romite ambrosiane, affinché sempre più e sempre meglio il santuario fosse per i fedeli fonte di grazie divine e stimolo alla perfezione… La costruzione del Sacro Monte sopra Varese fu certamente ispirata dalla devozione a Maria di san Carlo”.
Arcivescovo a Milano, tra il 15 ottobre e il 3 novembre 1565 il Borromeo tenne il primo concilio provinciale elaborando la normativa “De monialium reformatione” dal decreto promulgato dal Concilio di Trento. La riforma si occupò di rinnovare i monasteri secondo le indicazioni dei decreti tridentini, ridefinì i doveri dei superiori, vigilò sul voto di povertà e sull’amministrazione dei beni. Per quanto riguarda i monasteri femminili, il Concilio aveva ribadito le antiche disposizioni della bolla “Periculoso” di papa Bonifacio VIII che prescriveva l’attenta vigilanza affinché non si verificassero abusi negli ingressi in clausura da parte degli estranei.
L’arcivescovo vigilò affinché gli accorpamenti dei monasteri avvenissero correttamente, l’assistenza spirituale alle monache fosse assicurata e non avvenissero abusi patrimoniali: per esempio non potevano essere ritenuti validi atti di rinuncia alla proprietà e il monastero e l’Ordine non potevano attingere ai beni del novizio prima che l’aspirante avesse fatto la professione. Le monache salutarono l’ingresso in diocesi di Carlo (12 maggio 1564) con una lettera di congratulazioni del 21 aprile 1566, affidandosi alla protezione del nuovo arcivescovo. Borromeo utilizzò il metodo della visita pastorale per applicare le disposizioni sancite dal Concilio e si avvalse della collaborazione di uomini di fiducia.
Il sacerdote veronese Alberto Lino visitò il monastero il 4 ottobre 1565 e dispose che “si faccia una maestra per le novizie”. Due anni dopo fu la volta del vicario Giovanni Pietro Besozzi che richiamò a un’osservanza più severa del silenzio, della partecipazione alla liturgia, della clausura. Sempre del 1567 fu la visita di padre Leonetto Clivone. Altre “ispezioni” eseguirono Giovanni Battista Bardellini nel 1571 proponendo nuove soluzioni architettoniche per il santuario e il monastero. Carlo Loiano nel mese di agosto del 1574 propose di limitare i contatti delle monache con chi chiedeva l’elemosina e di costruire una nuova infermeria. Cesare Aresio nel 1575 accertò spese superiori alle entrate in monastero. Altre visite compirono Giovanni Francesco Porro e Vincenzo Giglio nel 1581.
Con l’arrivo di Vincenzo Giglio alla fine del 1581, si cominciò a parlare dell’istituzione di una vicaria perpetua, che fu eretta con decreto del Borromeo il 23 luglio 1583. Il cambiamento non fu di poco conto. Anche se le facoltà del vicario erano riferite solo alla cura delle anime, il provvedimento destò l’opposizione delle romite che gestivano l’arcipretura dai tempi dalla rinuncia di Gasparino Porro, ratificata dal papa Alessandro VI il 14 luglio 1502. Restò ferma l’autorità delle monache sugli aspetti amministrativi e gestionali della chiesa di Santa Maria e la loro prerogativa di eleggere il vicario e di provvedere alla sua remunerazione. Ma il monastero espresse il proprio dissenso protestando con l’uditore della Sacra Rota.
Le “scosse di assestamento” continuarono con i vicari Antonio Maria Biumi, che rinunciò alla carica nel 1586 e con Antonio Seneca, provicario generale, nel 1590, quando Carlo era ormai morto da sei anni. Il Borromeo ed altre autorità ecclesiastiche riconobbero in più occasioni la dignità di reliquie ai corpi di Caterina da Pallanza e Giuliana da Busto. L’arcivescovo non ne ostacolò la tumulazione in luogo sopraelevato da terra, nonostante esistessero disposizioni in senso contrario da parte del Concilio provinciale del 1565 e da parte del papa Pio V. E non mosse obiezioni al culto reso loro dai fedeli.
Il vescovo di Novara Carlo Bascapè (1550-1615), già segretario personale di Carlo Borromeo e suo principale biografo, fu la sua lunga mano in tema d’arte sacra secondo le “instructiones fabricae” emanate dal Borromeo. Il Concilio di Trento aveva individuato nelle immagini lo strumento per educare il popolo alla fede ed egli riorganizzò il Sacro Monte di Varallo facendone il banco di prova di uno straordinario esperimento di didattica religiosa. Varallo diventò il modello per i Sacri Monti di Varese e Orta. L’uomo di fiducia del Borromeo avocò a sé il compito di stabilire cosa raffigurare nelle singole cappelle, i temi delle scene e i particolari iconografici. Pretese di correggere i bozzetti degli artisti, autorizzare le nuove cappelle e la loro decorazione.
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