Dacia Maraini mi ha copiato. Ridendo l’ho pensato dopo aver letto sul Corriere del 3 gennaio il suo articolo “La gentilezza nelle nostre parole”. Ma, lasciando le battute per una più opportuna modestia, devo ammettere che ha saputo dare voce e profondità al mio pensiero: “…creanza, urbanità, cortesia, affidabilità, comprensione, tolleranza. Non sono le parole della debolezza ma della vera forza, quella del pensiero complesso, dell’intelligenza sociale”. È questa la conclusione del pezzo.
Le sue considerazioni partono dal discorso di fine anno del Presidente Mattarella che – dice – viene definito “il grigio Mattarella”. Effettivamente, ho sempre pensato che il tono dei suoi discorsi facesse venire il latte alle ginocchia. Però la sera del 31 ho guardato i suoi occhi dietro le lenti e mi sono sembrati limpidi e onesti, così sono andata oltre il tono e ho cercato di concentrarmi sul significato delle sue parole. E, caspita, non erano per niente grigie, solo pacate. Sarà perché siamo abituati a sentire urlare che quando uno sussurra non lo stiamo ad ascoltare? Stava dicendo, nel suo modo garbato, che un “senso diffuso di comunità costituisce la forza principale dell’Italia”, che “essere comunità di vita significa condividere alcuni valori fondamentali” ( e fino qui eravamo ancora nell’ambito della retorica presidenziale) e che “questi vanno praticati e testimoniati. Anzitutto da chi ha la responsabilità di rappresentare il popolo, a ogni livello”. A questo punto ho cominciato a drizzare le orecchie: stavamo andando sul concreto. Infatti ha continuato sostenendo che un “insidioso nemico della convivenza” è “l’odio come strumento di lotta politica. L’odio e la violenza verbale, quando vi penetrano, si propagano nella società, intossicandola. Una società divisa, rissosa e in preda al risentimento, smarrisce il senso di comune appartenenza, distrugge i legami, minaccia la sua stessa sopravvivenza”. E ha proseguito spiegando i motivi per i quali non ha chiamato gli elettori al voto anticipato.
Ecco, proprio a quello stavo pensando: alla velenosa campagna referendaria appena conclusa, in cui la violenza verbale esprimeva l’avversione, se non proprio l’odio, nei confronti del Presidente del Consiglio e tradiva la mancanza di riflessione e di ragionevolezza. Infatti, a mio avviso, buona parte dei votanti si è espressa per il no solo perché non sopportava Renzi e sperava con quel voto di toglierlo dalla scena politica. Salvo poi rendersi conto, di nuovo tra proteste e strepiti, che il Governo Gentiloni era una fotocopia dell’altro. Ovvio e prevedibile anche prima, se avessero riflettuto sui contenuti del referendum e sulle norme della Costituzione a cui tanto si dicevano affezionati, e non avessero invece sfoderato i lunghi coltelli. Mattarella l’ha spiegato, con chiarezza e pazienza, come si fa coi bambini. Ma servirà?
Non credo: archiviato il referendum, i nostri ineffabili politici già si sono messi a litigare sulla legge elettorale. Qualcuno dichiara che deve essere largamente condivisa. Ma poi ciascuno pretende che tutti gli altri condividano il suo pensiero. Un atteggiamento, questo, che si riflette sui cittadini, come dimostrano i violenti commenti sul web (o forse è il contrario, forse i politici non sono altro che lo specchio della società e abbiamo quelli che ci meritiamo). “Non ci rendiamo neanche conto” dice la Maraini “che stiamo usando un linguaggio rabbioso e guerresco. Ma […] in guerra la realtà si impoverisce: ci sono solo i nemici da abbattere e gli amici da salvare. Amici che devono pensarla esattamente come noi”. Infatti. Pare che nessuno voglia fermarsi a pensare. Se lo facessero si renderebbero conto che la Politica è compromesso, nel senso nobile e alto del termine, che significa rinunciare a qualcosa del proprio programma – senza tradire i propri valori – per accettare qualcosa del programma altrui. Non c’è altro modo per evitare l’immobilismo. E per garantire una convivenza democratica.
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