Che sia un anno di serendipità. È l’augurio per il 2017 che dedico agli amici e ai lettori di RMFonline. Serendipità è fare per caso felici scoperte e, anche, trovare qualcosa di non cercato e imprevisto mentre ci si sta dirigendo altrove. A patto che …
Il termine deriva dall’inglese “serendipity”, coniato dallo scrittore Horace Walpole che lo usò in una lettera inviata nel 1754 all’amico Horace Mann che viveva a Firenze. Il nome Serendip appare in una fiaba persiana dal titolo “Peregrinaggio di tre giovani figliuoli del re di Serendippo” nel cui racconto durante il viaggio i tre protagonisti si imbattono in inaspettati “indizi” che li salvano da alcuni gravi pericoli.
Lo spirito acuto e la capacità di osservazione di cui i tre principi, giovani figli del re di Serendippo, sembrano dotati, permetterà loro di incrociare nuove vie: non si tratta solo di scoperte fortuite ma della capacità, che oggi la scuola definirebbe “competenza complessa”, di osservare – non di vedere e basta – il mondo con occhi curiosi, aperti al cambiamento, pronti all’imprevisto.
Così avviene che, scrutando le cose, alzando lo sguardo attento al cielo o piegando la testa verso la terra che si calpesta, allertando tutti e cinque i sensi di cui l’essere umano dispone, si possono fare sorprendenti esperienze di serendipità.
Ma torniamo al Re di Serendippo – Serendip è l’antica denominazione dello Sri Lanka – per capire quale merito abbia consentito a questo racconto di attraversare cinque secoli. Ce lo spiega Christoforo Armeno che tradusse in italiano la fiaba persiana del XIV secolo, pubblicata a Venezia nel 1557.
Quella che segue è una minima parte della storia.
Giaffèr, re di Serendippo, volendo mettere alla prova la validità dell’educazione fatta impartire ai figli, con uno stratagemma li spinse a un lungo viaggio nel corso del quale avrebbero dovuto affrontare, però da comuni mortali, diverse prove. I giovani le superarono tutte facendo ricorso non solo al caso e alla fortuna, che comunque aiutano, ma soprattutto alle proprie capacità di osservazione. Ogni particolare delle cose viste lungo il percorso, ogni gesto degli uomini incontrati, i fratelli lo presero in considerazione: analizzando, rispondendo ai problemi, non lasciando niente di intentato, deducendo, raccogliendo prove, accumulando esperienza.
Moderni scienziati, i tre imparano dalla vita, persino dalla prigione, dove capitò loro di finire e da dove riuscirono a fuggire. Conclusero il viaggio con pieno successo: il primo, ritornato in patria, succederà al padre Giaffèr, il secondo diventerà re dell’India e il terzo, sposata la figlia del re di Persia, salirà al trono di quel paese.
Casuale sagacia, lo spirito di cui erano dotati i tre giovani, chiede l’inglese Walpole all’amico nella citata lettera, o “serendipità”? Come chiamare altrimenti la scoperta di uno dei tre che ipotizzò il passaggio per la loro strada di un cammello cieco dall’occhio destro, avendo osservato che l’erba era stata mangiata solo sul lato sinistro, dove appariva ridotta peggio che sul destro?
Sarebbe bello se pure noi, durante questo nuovo anno, il tempo che ci sarà dato volessimo usarlo anche per l’inatteso e l’imprevisto, per le sorprese che ci riserva ogni giornata; se applicassimo un po’ di serendipità per scrutare il fondo degli eventi e per riconoscere la bellezza delle cose che ci lasciamo sfuggire per distrazione o per l’incapacità a coglierne i segnali.
Oserei definire la serendipità uno stato di grazia, magari laica, che ci apre le porte del dialogo con il mondo. La serendipità che fa dire al narratore sagge parole, come queste: “Ci fu anticamente, nelle parti orientali del paese di Serendippo, un grande e potente Re nominato Giaffèr, il quale, ritrovandosi tre figliuoli maschi, e sapendo di dover lasciare loro delle grandi eredità, decise che dovessero dotarsi di tutte le virtù che ai principi sono richieste. Stabilì di renderli perfetti, volle che andassero a vedere il mondo per imparare diversi costumi e i modi di vita di molte nazioni, però con l’esperienza, perché dei libri e della disciplina dei precettori s’erano già fatti padroni”.
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