È piuttosto difficile pensare che siano stati in molti a credere all’accennata ipotesi, avanzata dalla Federica nazionale dopo Rio, di una sua cessazione dell’attività, difficile soprattutto perché nel suo indiscutibile momento di tristezza, un po’ tutti avranno dato il giusto peso a quel “mi piace troppo stare in acqua” detto con sorridente fermezza.
Era questo che doveva contare e che ha contato lasciando aperte solide speranze di una prosecuzione. Era questo che contava e che ha contato con quella sua ricomparsa ai mondiali per confermare la sua classe e ritrovarsi a riconquistare medaglie per dare ulteriore ricchezza alla sua oreficeria.
Stupenda nei suoi 200 metri e, se vogliamo, ancor più in staffetta. Insomma che la vasca sia corta o no per la Pellegrini le misure non contano. È pur ovvio che il tipo di specialità possa avere richiamato presenze meno illustri di quelle in vasca normale ma il titolo conta e tutto ha valore.
Se però le facce della medaglia d’oro brillano di luce propria, quelle di argento della staffetta portano qualche riflessione, già sorta in un recente passato: e cioè, ancora una volta si è visto che sul podio il gruppo può permettersi di trovare posto – diciamolo chiaro – solo per merito della terrificante potenza della campionessa. Punto.
È il siluro Federica che manda a fondo, una per una, tutte le antagoniste che le altre nei loro periodi avevano lasciato davanti.
È lei che, un po’ siluro e un po’ alligatore un po’ le affonda e un po’ le ingoia senza pietà.
Il merito delle altre non va disatteso: brave, volonterose e soprattutto giovani ma che, allo stato, rivestono solo il pur importante ruolo di speranze.
Per il momento rimane solo da pensare che si avverino.
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