Puntuale come ogni anno ritorna il Natale, la festa forse più amata da tutti perché evoca l’atmosfera fiabesca dell’infanzia, carica insieme di dolcezza e di mistero, e fa gustare un momento dedicato agli affetti familiari. Questo giorno è ancora sentito come speciale nella coscienza popolare, anche se una certa mentalità consumista tenderebbe a cogliere più la ricerca di soddisfazione materiale che non il valore squisitamente religioso che apre gli uomini a cercare la pace e la comprensione reciproca. Così è facile snaturare il segno del Natale riducendolo ad una tradizione che non incide più nella coscienza, dimenticando persino il contenuto di questa festa ed il motivo per cui è giusto festeggiare. È come se fossimo invitati ad un compleanno senza sapere di chi e perché siamo stati invitati.
Intendiamoci, tutti a Natale pensiamo alla nascita di Gesù Bambino raffigurata nel presepio, ma è come se la memoria di tale avvenimento non ci parlasse più. Rimangono generici sentimenti, ma non è più messo a tema perché la presenza di Gesù sia così decisiva, e questo è forse dovuto al fatto che siamo noi i primi a non mettere più in luce che il bisogno fondamentale dell’uomo, di cui il Natale è risposta, è il bisogno di salvezza. La conseguenza è immediata: se si affievolisce il desiderio di essere salvati, immediatamente la nascita di Gesù è destinata a perdere ogni significato e rimane solo il mito o la favola per bambini.
Il vero senso del Natale va, invece, cercato nel mistero insondabile di quell’incarnatus est proclamato nel Credo, che rivela quanto la salvezza consista nel rendersi presente di Cristo che si fa uno di noi nella povertà essenziale della sua nascita a Betlemme. Questo è il cuore del Cristianesimo: nell’umanità di Cristo è salvata la nostra umanità; ma perché Dio ha voluto che ciò passasse attraverso la storia particolare di una precisa genealogia familiare? La teologia ha sintetizzato la questione con la domanda Cur Deus homo?, cioè perché Dio ha scelto di farsi uomo mescolandosi, Lui che appartiene all’Infinito, con le vicende storiche dell’umanità finita? Dio avrebbe potuto percorrere molte strade per salvare l’uomo, perché allora ha scelto per venirci incontro di condividere pienamente la condizione umana? Dio avrebbe potuto salvarci dandoci un aiuto che potenziasse le risorse umane, rendendoci capaci di guarirci da soli con medicine adeguate. Ma, come ricorda una bella pagina di San Bernardo, ha preferito venire tra noi, per accompagnarci nel cammino della vita ed insegnarci ad essere uomini: “Colui che avrebbe potuto semplicemente aiutarci ha voluto esserci, ha preferito farsi uno di noi per accompagnarci” nella nostra concreta esistenza. Colui che poteva limitarsi a darci un aiuto, ha deciso di mettersi in gioco con ognuno di noi, dando inizio ad una nuova storia in cui non c’è esperienza, non c’è sentimento, non c’è vibrazione dell’umanità che gli possa rimanere estranea. Così, come nella nascita è contenuta la promessa di poter dare compimento ad ogni frammento della vita, ancora di più la nascita del bambino di Betlemme realizza la promessa di un’umanità salvata che insegna ad ogni persona a diventare più uomo.
Per questo il Natale è la festa dell’umanità compiuta che recupera la relazione originaria con Tutto, nella pace con Tutto (come è cantato nel Gloria); per cui la Chiesa celebra solennemente il Natale come festa delle relazioni autentiche che si realizzano nell’amore familiare e nella solidarietà verso i bisogni concreti di tutti. Perciò il Natale chiede gesti di unità e di amicizia, a testimonianza che anche un inerme neonato può cambiare il mondo, in quanto sprigiona la luce di una bellezza che rende presente la verità, nel silenzio e nella discrezione dell’agire di Dio.
Nel mistero del Natale l’uomo impara allora a diventare libero, riconoscendo colui che non ha disdegnato di assumere la condizione umana; e la liturgia natalizia ci ricorda che l’incarnazione non segna l’inizio di una generica speranza che il mondo possa migliorare, ma diffonde il lieto annuncio che oggi per voi è nato il Salvatore, inizio di una storia buona da cui nessuno è escluso.
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