Roma è più vicina a Varese di quanto sembri e, guardando bene, dal Sacro Monte si scorge pure il Cupolone. É l’impressione che si ricava leggendo il libro “I papi di Santa Maria del Monte – Storie di fede e di potere dai tempi di Ambrogio a papa Francesco” (Macchione Editore, 313 pagine, € 22), scritto dal giornalista Sergio Redaelli già autore della biografia di Pio IV Medici (Mursia), zio di Carlo Borromeo e di una Guida del Sacro Monte. Il libro, con la prefazione di Pierangelo Frigerio, inquadra i fatti e collega i personaggi della storia del borgo ai nomi e ai volti di ventisette pontefici.
Il pensiero corre naturalmente a Giovanni Paolo II che il 2 novembre 1984 salì al monte per il quarto centenario della morte di Carlo Borromeo e a Giovanni Battista Montini, che lo visitò tredici volte prima di essere eletto al soglio pontificio, entrambi legati al varesino monsignor Pasquale Macchi. Ma l’ombra dei palazzi apostolici si allunga fino alla montagna varesina in molte altre occasioni. Talvolta in modo diretto e documentato, attraverso bolle e brevi pontifici o nell’alone della leggenda, come nel caso del papa Damaso I, contemporaneo di Sant’Ambrogio, che insieme a lui combatté gli ariani.
Sisto IV, il pontefice della Cappella Sistina, istituì il monastero il 10 novembre 1474 concedendo alle monache il diritto d’indossare il velo di Santa Chiara, di osservare la regola di Sant’Agostino e aderire all’Ordine di Sant’Ambrogio ad Nemus. Il suo intervento era stato espressamente richiesto da Caterina Moriggi, la prima romita salita al monte per vivere nelle grotte e poi raggiunta dalle compagne, spinta a rivolgersi al papa dai pettegolezzi della gente: “Per fugire la murmuratione de li detractori – spiega la consorella Benedetta Biumi – e degli invidiosi inimici de Dio”.
I Visconti e gli Sforza, devoti alla Madonna del Monte, signoreggiavano a Milano tra il Quattro e il Cinquecento e il santuario si avvalse spesso delle loro raccomandazioni per arrivare fino a Roma. Di Santa Maria del Monte si occupò Alessandro VI, Rodrigo Borgia, il pontefice accusato a Roma di essere dissoluto, libertino e nepotista, di “fare una sola cosa del bello e del buono”, intorno alla cui figura i romanzieri hanno costruito la leggenda nera dei Borgia. Fu lui ad autorizzare l’arciprete Gasparino Porro a unire l’arcipretura al monastero. Era il 14 luglio 1502 e l’unione sarebbe rimasta in vigore quattro secoli, fino al 1905.
La Roma rinascimentale rivive nei versi violentemente irriverenti che Pasquino scaglia contro Pio V, Michele Ghislieri, severo custode dei princìpi della Controriforma: “Quasi che fosse inverno, brucia cristiani Pio siccome legna, per avvezzarsi al fuoco dell’Inferno”. Ghislieri, poi fatto santo, allestì la flotta cristiana che nel 1572 sconfisse i turchi nelle acque di Lepanto, la più importante battaglia della marineria a remi. Per ricordarla, il papa istituì la festa di Santa Maria della Vittoria, poi intitolata alla Madonna del Rosario, a cui è dedicato il Sacro Monte di Varese.
A Clemente XIV, predicatore francescano già consulente del Sant’Uffizio, si deve la beatificazione delle prime romite, Caterina e Giuliana. Il papa riconobbe il culto reso loro “da tempo immemorabile” e il diritto di essere venerate pubblicamente il 16 settembre 1769, secondo le regole fissate un secolo prima da Urbano VIII. Ad una prima raccolta di testimonianze in sede diocesana, era seguita una seconda, romana, con nuovi accertamenti per dimostrare che la fama delle due donne andava oltre i luoghi in cui erano nate e vissute.
Sulla copertina del volume compare il timbro dell’Archivio Segreto Vaticano e una ragione c’è. Tra i libri-guida consultati dall’autore, insieme alla storia del monastero pubblicata dalle romite nel 2006, alle opere di Carlo Alberto Lotti, Silvano Colombo, Costantino e Angelo Del Frate, Nicolò Sormani e tanti altri, vi è la Storia dei Papi che il cattolico tedesco Ludwig Von Pastor pubblicò in varie riprese tra il 1886 e il 1933 sfruttando l’apertura dell’Archivio Segreto Vaticano deciso da Leone XIII nel 1881. La sua monumentale storia in venti volumi e migliaia di pagine fu la risposta alla versione protestante di Leopold Von Ranke.
Sfogliando il testo di Redaelli emergono le figure di Gregorio XI che riportò la sede pontificia da Avignone a Roma e riconobbe l’Ordine di Sant’Ambrogio ad Nemus. Il papa mecenate Innocenzo VIII fece costruire il Belvedere (che poi Giulio II congiungerà al palazzo Vaticano) e si occupò d’intricate controversie patrimoniali al Sacro Monte. Paolo V mise sotto accusa Galileo mentre si costruiva la “rizzada” e Leone X, che aveva suscitato l’ira di Lutero con la vendita delle indulgenze, dovette occuparsi della durata in carica delle badesse, fissandola in tre anni.
“La narrazione – scrive Frigerio nella prefazione – non ignora le derive cui la barca di Pietro è stata soggetta, cedendo agli interessi temporali e ai bagliori dell’oro, né nasconde i crepacci che si sono aperti nella salda roccia del Monte”. Aggiunge l’autore: “Un sottile filo lega la città dei papi e dei fulgori rinascimentali e barocchi, la Roma di Raffaello e Michelangelo, di Bernini e Borromini, alla minuscola chiesa varesina che ha saputo attrarre, con le dovute proporzioni, insigni maestri come Nuvolone e Lodovico Pogliaghi, Morazzone e Renato Guttuso, Bernascone e Floriano Bodini”.
Se da duemila anni i pellegrini si mettono in viaggio per raggiungere il suolo in cui è sepolto l’apostolo Pietro a Roma, da secoli i fedeli salgono a Santa Maria del Monte per onorare la memoria di Ambrogio e Carlo Borromeo, passano sotto gli archi, si rinfrescano alle fontane e si soffermano davanti alle cappelle lasciandosi rapire dalla bellezza e dalla spiritualità del luogo. A Varese come a Roma.
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