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Editoriale

PEGGIORISTI

MASSIMO LODI - 16/12/2016

gentiloniIn omaggio al rispetto delle regole -che secondo i frontisti del No la riforma Boschi avrebbe violato (perché, come, quando?)- il presidente della Repubblica non poteva che imboccare la strada poi percorsa, attenendosi a un elementare promemoria tecnico. Vale ripeterlo, a beneficio dei molti distratti o insipienti o obiettori prevenuti dell’inquilino del Colle.

Dunque. 1) Dimessosi Renzi, una maggioranza parlamentare continuava a esistere, ed era (è stata) in grado di concedere la fiducia a un governo. 2) La legge elettorale della Camera era (è) da armonizzare con quella del Senato prima di un ritorno al voto. 3) A proposito del punto 2, sulla correttezza della legge elettorale di segno maggioritario chiamata Italicum varata in questa legislatura, una sentenza della Corte Costituzionale viene annunciata per il 24 gennaio, e bisognava (bisogna) conoscerne il contenuto prima d’eventualmente decidere se riaprire le urne. 3) Cruciali questioni economico-finanziarie attendevano risposta -si pensi al rischio di default dell’intero sistema bancario- e la saggezza imponeva (impone) d’affrontarle e risolverle subito da parte d’un governo pienamente legittimato. 4) Impegni internazionali importanti e non eludibili sono da onorare nei prossimi mesi, e all’Italia è vietato sottrarvisi a meno che non si voglia minarne la credibilità agli occhi del mondo intero.

Preso atto dell’addio del premier, questi pochi/ fondamentali motivi hanno indotto Mattarella (meno male che Mattarella c’è) a individuarne rapidamente il successore, incaricandolo di formare il nuovo governo. Ciò che è accaduto, affidando il compito a Paolo Gentiloni, ministro degli Esteri uscente. Ovviamente il suo esecutivo ha ricalcato il tratto distintivo del precedente, essendo prodotto dalla medesima coalizione poiché altri -i vincitori del 4 dicembre, sollecitati invano dagli sconfitti- hanno rinunziato a farvi parte promuovendo l’opportuna discontinuità. Se abbiamo un governo fotocopia, e nella sua composizione debitore di stantìe/deplorevoli astuzie da Prima Repubblica, lo dobbiamo alle conseguenze d’un tale e incomprensibile no-no-no.

Lamentare da parte delle opposizioni che l’epilogo della vicenda tradisce la volontà popolare è dunque o una sesquipedale/stucchevole sciocchezza o un mediocre/demagogico espediente o entrambe le cose insieme. Avendo a cuore le sorti degl’italiani, la scelta sembrava semplice e obbligata: partecipare a un esecutivo di responsabilità nazionale, riscrivere la normativa elettorale, adempiere a una serie d’emergenze, mettere in sicurezza il Paese prima di rimettersi al suo volere democratico.

Non è successo, naturalmente. È andato invece in scena -in prima fila grillisti, leghisti e melonisti; in seconda i berluscones- il festival del populismo più retorico e banale, inutile e deteriore, cinico e incosciente. Rifiuti a sedersi a un tavolo per discutere, diserzioni delle aule parlamentari, annunci di manifestazioni/sommosse di piazza, denunzie di attentati a diritti mai minacciati da nessuno. Senso della realtà, zero. Senso politico, zero. Senso dello Stato, zero. Senso del ridicolo, zero.

Peggio delle minoranze istituzionali han fatto solo quelle del Pd, riuscite nell’impresa sciagurata e festeggiatissima (che stile) di affossare il loro segretario, il loro presidente del Consiglio, il loro governo. Se Renzi, a giudizio d’una moltitudine d’antipatizzanti, rappresenta il male assoluto dell’oggidì, come vogliamo definire la cordata dei benintenzionati di sinistra/destra che gli ha stretto al collo il laccio del referendum senza avere la minima idea di come sciogliere il conseguente nodo della governabilità?

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