Sulla Formula Uno Nico Rosberg ha messo la parola fine. Parola conclusiva senza – così al momento ha dichiarato l’interessato – possibilità di ripensamenti.
Fine motivata da Rosberg con la pienezza di un traguardo raggiunto (notoriamente quel titolo mondiale) misto agli affetti famigliari pur degni di una maggiore attenzione, di un più concreto approfondimento senza le preoccupazioni di un impegno gravoso con frequenti distacchi, appunto, dal nucleo familiare. Tutte cose belle, legittime, giuste sacrosante.
Si dal il caso, peraltro, che Nico non ne avesse mai neppure accennato nel corso della trionfale, per lui, stagione automobilistica quando le possibilità di tenere in quel preziosissimo conto, come sopra motivato, erano pur vigenti in tutta la loro forza ed importanza. D’accordo durante la stagione Rosberg non aveva ancora vinto il titolo ma che si potesse anche solo abbozzare ad un’ipotesi di abbandono ad eventuali vittorie era pur legittimo.
E allora la bomba esplosa a giochi fatti ha lasciato qualche dubbio magari anche con un pizzico di maldicenza. Che abbia gettato la spugna di fronte alle eventualità di un recupero in futuro dell’odiato-amico Louis? Che abbia pensato che l’impresa non gli sarebbe riuscita una seconda volta tanto era stata in bilico la vittoria nel 2016? Che un eventuale recupero di Hamilton sarebbe stato addirittura tre volte più pesante di una normale sconfitta?
Tutti dubbi, insomma, più o meno maligni ma tutti più nella direzione di un lancio della spugna che di un ritiro fondato su pensieri famigliari. Con certezza non lo si più sapere pacifico che l’idea di doversi ancora trovare tra i piedi (pardon fra le ruote) un rivale che in fatto di simpatie al collega di scuderia non ne aveva concesse neppure una virgola qualche pensierino in mente a Rosberg deve essere pur venuto sicuramente insieme a quegli altri motivi pur eccellenti di carattere famigliare.
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